Come la casa madre di TikTok e CapCut trasforma i vostri contenuti in valore per sé
Negli ultimi tempi, molti creativi hanno manifestato indignazione di fronte all’uso dei loro contenuti per l’addestramento delle intelligenze artificiali, sentendosi giustamente defraudati della propria creatività. Eppure, in questo scenario di crescente attenzione ai diritti d’autore nell’ambito dell’AI, emerge un curioso paradosso: gli stessi creativi che difendono con forza la propria proprietà intellettuale spesso utilizzano con leggerezza piattaforme come CapCut, che acquisiscono diritti molto ampi e potenzialmente invasivi sui loro contenuti. Mentre il dibattito sull’addestramento delle AI continua ad accendere discussioni e polemiche, l’utilizzo di strumenti che, di fatto, permettono un’appropriazione su larga scala di immagini, voci e volti, passa spesso inosservato.
CapCut e la proprietà dei contenuti: oltre la creatività, il diritto
CapCut, come molte piattaforme gratuite di editing video, offre funzionalità potenti e intuitive, ma a un prezzo che spesso gli utenti non percepiscono immediatamente: la cessione di diritti molto estesi sui contenuti caricati.
Negli aggiornamenti più recenti dei Termini di Servizio, CapCut si riserva un diritto d’uso ampio, potenzialmente illimitato, su immagini, voci e volti degli utenti. Tale diritto si estende anche ai contenuti non pubblicati e continua a valere persino dopo la chiusura dell’account.
Dal punto di vista giuridico, questa clausola si fonda su una licenza contrattuale ampia che l’utente accetta al momento della registrazione, ma solleva questioni rilevanti di proporzionalità e di tutela del diritto d’autore.
Il quadro normativo: cosa dice la legge?
- GDPR (Regolamento UE 2016/679) La voce e l’immagine possono essere considerate dati biometrici. Qualora la piattaforma ne facesse uso per profilazione o marketing senza un consenso realmente libero e informato, l’utente potrebbe contestarne la liceità davanti a un Garante privacy.
- Diritto d’autore (Convenzione di Berna + Legge italiana) I diritti morali d’autore non possono essere ceduti integralmente. Quindi, anche se CapCut acquisisce una licenza molto ampia sulle opere, non può impedirti di rivendicarne la paternità o di opporsi a modifiche che ledano l’integrità dell’opera.
- Diritti di immagine (artt. 96-97 Legge sul diritto d’autore) In Italia l’uso dell’immagine di una persona a fini commerciali richiede un consenso specifico e puntuale. Una clausola generica non basta se l’utilizzo è lesivo della dignità o della reputazione dell’interessato.
Come tutelarsi in pratica
- Leggere integralmente i Termini di Servizio, per quanto lunghi e complessi possano sembrare
- Considerare alternative open source o software di editing offline, che non impongano licenze invasive
- Se si producono contenuti professionali o sensibili, valutare piattaforme con policy più rispettose del diritto d’autore
Conclusione: la posta in gioco
l successo di strumenti gratuiti come CapCut non è mai davvero gratuito. Il prezzo si paga con i dati, con i contenuti, con la nostra stessa immagine e voce, che diventano merce di scambio per arricchire piattaforme il cui unico interesse è catturare attenzione, trasformarla in profitto, e poi risucchiare nuova creatività come un vampiro digitale.
La questione dei profili clonati su TikTok, sfruttati per truffe e inganni, mostra una soglia di tolleranza inquietante. Se questi account continuano a proliferare nonostante le segnalazioni, la domanda è inevitabile: incompetenza o strategia deliberata per amplificare il traffico e monetizzare comunque i dati?
Questa storia ci mette davanti a una verità scomoda: la nostra identità digitale — fatta di storie, volti, suoni — è un tesoro che può essere catturato, distorto e rivenduto senza troppi scrupoli e per combiere le peggiori nefandezze. In un mondo dove la credibilità e la creatività vale oro, ogni clic è un patto con il diavolo: e il diavolo, oggi, ha tanti nomi: Meta, ByteDance, X Corp.
La questione dei profili clonati su TikTok, utilizzati per truffe e inganni, solleva un interrogativo scomodo: se, nonostante le segnalazioni, questi account restano attivi, potrebbe trattarsi di una gestione inefficace oppure — più inquietante — di un primo passo verso un utilizzo più ampio e ambiguo dei dati e dei contenuti degli utenti, magari in connessione con piattaforme come CapCut.
Questa vicenda ci ricorda che la nostra identità digitale — fatta di storie, volti, suoni — può essere catturata, manipolata e trasformata in valore economico per soggetti terzi.
In un’epoca in cui la creatività è moneta digitale, ogni clic è un contratto: leggere, capire, scegliere resta la nostra forma più autentica di resistenza.