Categoria: arte

  • AI, moodboard e selezione creativa: perché cestinare è essenziale

    Una regola che mi sono imposta quando ho integrato l’intelligenza artificiale nel mio lavoro è utilizzarla solo in campi in cui ho maggiore competenza. Bisogna stare molto attenti a non conferire un potere esoterico. Non è tecnicamente infallibile e non ha poteri magici.

    Questo perché è facile lasciarsi ingannare dalla soddisfazione illusoria che ne deriva. Il design dei chatbot in particolare è focalizzato sul garantire un’esperienza utente gratificante. Avere tutto e subito è appagante, e gli sviluppatori lo sanno bene.

    Usarle per fare brainstorming è rischioso. Ogni idea sembra quella giusta. Disinnescare la compiacenza dei chatbot non è facile, ma nemmeno una perdita di tempo. Mantenere la capacità di rimettere tutto in discussione è il vero superpotere per differenziarsi oggi. Approcciarsi a questi strumenti con spirito critico è fondamentale: valutare la validità dell’output spetta a noi.

    A luglio 2024 la generazione di immagini e appunti per la mia moodboard ha raggiunto il suo picco. La rapidità con cui, grazie all’AI generativa, le idee sembrano prendere vita è stimolante quanto pericolosa. Il rischio di accontentarsi e cadere in una fase di pigrizia creativa è reale.

    A distanza di otto mesi e tantissimo lavoro, queste immagini mostrano tutta la loro ingenuità, nonostante alcuni elementi siano stati fondamentali per lo sviluppo della storia.

    Il mio metodo in questa fase era scrivere le idee a un chatbot, ricavarne degli elenchi e farglieli convertire in prompt da dare all’AI per generare immagini — ora ci sono modelli integrati. Il mio obiettivo era fondere le reference che avevo scelto, testarne l’estetica, immergermi nell’atmosfera che avevo in mente. Per ottenere risultati in linea con la propria idea, è fondamentale rispettare precise gerarchie di elementi. Cercavo di dirigere la generazione verso uno stile simile al mio, in modo da poter prelevare con più serenità gli elementi di mio interesse, qualora fosse stato necessario.

    Fare dei collage di immagini è sempre stato il primo step, con l’AI posso fonderle insieme con rapidità ,senza dover cercare, stampare, ritagliare e incollare. In qualsiasi momento e ovunque mi trovassi. Non è sintomo di pigrizia, ma solo un modo per tenere traccia anche dell’idea che in apparenza sembra superflua o indimenticabile. Nel mio modo di lavorare, queste immagini servono solo come appunti. Ho una certa avversione per chi le considera un prodotto spendibile, al di là della qualità estetica e di quanto sia performante la piattaforma che si usa.

    Per quanto ogni forma d’arte sia l’elaborazione di cose apprese in precedenza, e per quanto possiamo essere bravi a scrivere dei buoni prompt, considero la generazione di immagini solo parte del processo. La questione dei diritti d’autore legata all’AI non è risolta e nessuno dovrebbe vendere questi risultati come se fossero propri. Generare immagini nella fasi preparatorie a un progetto non è diverso dal salvare immagini trovate online o ritagli di giornali.

    Con gli upgrade recenti è perfino possibile non fermarsi. Continuare a restituire all’AI i risultati, insieme a foto o disegni personali, corredati da buoni prompt è una via valida e rispettabile. Come in ogni buona indagine, fermarsi al primo risultato è solo un limite. Bisogna poi ricordarsi di dedicare molto tempo alla post-produzione se non si resiste dall’usarle. Per questo progetto sto disegnando a china le mie illustrazioni, quindi la commercializzazione di immagini generate con l’AI non è un mio problema.

    Credo sia utile fare chiarezza sul ruolo che ha giocato questa tecnologia nei miei processi: quanto sia stata preziosa in questa prima fase, ma anche quanto sia lontana dal risultato effettivo. Gli elementi che ho mixato nei miei prompt sono: modernità storica, decadenza, abbandono, tecnologia, casa di cura ed esoterismo. Mi hanno aiutato a mantenere il focus sugli obiettivi e a delineare gli elementi chiave dell’opera. Ma considerare buoni questi risultati denota una certa ingenuità.

    Ambientazione

    La distopia è il primo espediente narrativo che viene in mente quando si vuole criticare il presente. Se mi fossi fermata all’idea di ambientare la sceneggiatura nel futuro, sarei caduta in una serie di insensati cliché. Stiamo già vivendo il futuro distopico profetizzato dai nostri predecessori, sembra scontato, ma l’ho realizzato durante il tragitto. Credo sia normale, all’inizio di un progetto inciampare in scelte pigre. Troviamo rassicurante e valido quello che già conosciamo. Distruggerlo e ricominciare è parte del percorso.

    Di questa banalità iniziale salvo l’aver Immaginato un futuro in cui lo stile Liberty fosse tornato di moda per poi essere nuovamente abbandonato. L’obiettivo era descrivere un’architettura che fosse una rielaborazione dell’Art Nouveau del futuro, ma che portasse i segni del successivo abbandono. Questa angoscia è ancora presente in fase di stesura, ma ha preso forme e direzioni diverse.

    Non accontentarsi è faticoso, ma è un consiglio che si comprende solo con il senno di poi. Documentare il mio workflow è un messaggio alla me del futuro, ma che lascio disponibile anche per chiunque avesse bisogno di un punto di vista differente. Per quanto riguarda l’utilizzo delle Ai ci sono apocalittici e integrati, io mi colloco nel mezzo, e non vedo molti artisti condividere questa visione.

    Comprendo la polemica, legittima, ma demonizzare un mezzo utile solo perché qualche casa editrice la predilige per massimizzare i guadagni è un limite. Ricordo le stesse crisi quando Photoshop divenne alla portata di tutti. Ci sarà sempre un mediocre che fa un uso scorretto di una tecnologia eccellente. Come dissi in questa intervista nel lontano 2017:

    il problema è sempre dell’operatore e mai del calcolatore

    NB: Posseggo tutte le licenze d’uso legittime per queste immagini. Per scelta etica, non le commercializzo né traggo profitto dalla loro vendita. L’utilizzo è consentito esclusivamente con attribuzione obbligatoria all’autore.

    I hold all legitimate usage rights for these images. By ethical choice, I do not commercialize or profit from their sale. Usage is permitted only with mandatory attribution to the author.

  • Prima fase: dall’ispirazione al seme dell’opera

    Cosa sia e quanto conti l’ispirazione in scrittura è ancora argomento di discussione. So quale sia stata la mia e quanto peso abbia in questo progetto.

    Tutto è iniziato a giugno 2024 mentre descrivevo la sensazione di sentirmi come una macchina guasta, un automa difettoso, qualcosa di sofisticato, ma obsoleto, che non stava funzionando come da progetto.

    Avevo in mente questa immagine: un femrobot in riparazione sulla copertina di una vecchia rivista. Sono sempre stata affezionata a questa illustrazione di Ed Emshwiller, mi aveva ispirato una canzone vent’anni prima. Ma questa volta avevo un solo obiettivo: prendermi del tempo per decidere cosa dovesse diventare. Lontana dai social network non sento la pressione del tempo, o di fantomatiche occasioni che scappano via. In questi anni ho imparato a dedicare il giusto spazio alle cose.

    Sapevo di dover iniziare un percorso di distacco. Se a vent’anni puoi permetterti di essere autobiografica con una canzoncina, a quaranta rischi di essere ridicola se la tua vita non è di pubblico interesse.. Per questo ho lavorato tanto per separare esperienza dal messaggio da un certo punto del processo creativo.

    Non sapevo bene dove incanalare questa sensazione, quali delle mie severe opinioni veicolare, quale mezzo espressivo scegliere. L’unica certezza era che andava convertita in qualcosa di utile, non solo per me, ma anche per i futuri fruitori.

    Credo sia una sensazione comune a molti e usarla come veicolo per il punto di vista tematico aveva senso. Ho maturato opinioni sul mondo e mi sento pronta per esprimerle, con la giusta tecnica e senza riserva. Ho selezionato con cura le più necessarie, ma è stato un processo lungo e costante.

    Nei mesi successivi la sceneggiatura prendeva forma—senza sapere ancora per quale mezzo. Un videogame, uno spettacolo teatrale, un’esperimento di realtà aumenta, un concept album… sapevo solo che dovevo metterci tutte le competenze acquisite in quarant’anni.

    Durante i primi mesi ho abusato delle AI: mi ha aiutato molto a generare immagini e appunti che hanno catturato parte dei miei contorti processi mentali. Ho una formazione da designer, questo mi porta a non accettare mai le prime soluzioni che mi vengono in mente, so quanto sia importante cestinare le idee.

    Queste solo alcune delle circa tremila immagini che ho generato in questa primissima fase. Nei prompt aggiungevo sempre un tocco decadente Art Nouveau. La modernità storica è una cosa che ho evocato sin dal primo giorno.

    Emergeva sempre più forte l’esigenza di criticare la società tecnocratica dal punto di vista di chi ama la tecnologia da sempre, ma assiste impotente al suo utilizzo in modi sempre più distruttivi per l’individuo. Ma non è di certo l’unica cosa su cui voglio dibattere.

    Per quanto ora sia distante anni luce da queste prime bozze sintetiche, una parte di esse è nel DNA dell’opera. Per me sono sempre stati solo dei collage, proprio come quelli che facevo un tempo per le moodboard con colla, cartelle colore e ritagli.

    Dopo quasi un decennio di oblio e pseudonimi, non potevo prevedere che sarei anche tornata a pubblicare online, ma il blogging è la mia cofort-zone. Nuda e cruda, senza statistiche, stratagemmi e vanità.

    NB: Posseggo tutte le licenze d’uso legittime per queste immagini. Per scelta etica, non le commercializzo né traggo profitto dalla loro vendita. L’utilizzo è consentito esclusivamente con attribuzione obbligatoria all’autore.

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