Categoria: Il viaggio della matta

  • Pulizia tematica: cosa ho deciso di lasciar perdere

    Quando ho iniziato a lavorare a questo progetto, i temi su cui volevo portare l’attenzione erano vari. Per evitare sovraccarichi tematici ho fatto delle rinunce. Una di queste riguardava la scarsità di risorse future.

    Invecchiamento artificiale

    Il tema dell’obsolescenza programmata mi è sempre stato caro, ma la crisi dei microchip ha aperto un ulteriore strato di sofferenza che volevo esprimere.

    A settembre stagnavo ancora nell’idea di descrivere un futuro distopico. Tra gli elementi di worldbuilding avevo iniziato a immaginare una tecnologia ritornata in parte meccanica a causa della scarsità delle stesse risorse che ne avevano permesso la miniaturizzazione.

    Così, la figura di un giovane scienziato che cerca di fare il possibile per i suoi pazienti robotici si faceva largo. I suoi conflitti tra l’uso delle tecnologie a sua disposizione e i problemi etici a loro connessi mi sembravano un buon espediente narrativo per esprimere la mia disapprovazione.

    Ho così iniziato a fondere insieme gli elementi Art Nouveau che avevo già introdotto a quelli della storia della computazione meccanica. Qui mi sono divertita a evocare Charles Babbage, Konrad Zuse e perfino Vannevar Bush. C’è tanta ingenuità in queste prime scelte, ma sono state importanti nel processo.

    Per aggiungere un elemento disturbante, avevo integrato delle parti anatomiche. Il tema della disumanizzazione è centrale e volevo che si esprimesse al meglio. L’idea di sopperire alla mancanza di componenti con parti umane mi sembrava funzionale alla mia critica al consumismo digitale. Scelte di questo tipo non sono mai fini a se stesse. Il disgusto è uno strumento utile, ma va dosato con cura.

    Anche se sono tante le opere che hanno utilizzato questo espediente, la mia reference era Il Colosso di New York. Non il film più innovativo, ma di certo quello a cui sono più legata. La sua prevedibile, quanto iconica, ribellione finale è riuscita a emozionarmi quanto la creatura di Frankenstein.

    Lo ammetto, empatizzo con le vittime che diventano veicolo di distruzione. Non voglio con questo giustificare la violenza, ma comprendo la frattura che si crea nelle menti abusate. Nella vita non esprimo mai giudizi morali, al massimo faccio riflessioni etiche, e indago sulle ragioni che animano protagonisti e antagonisti delle storie.

    Estetica effimera: l’illusione della forma

    Una discussione sull’uso distorto della tecnologia è ancora presente nella narrazione, ma ha preso una forma diversa. Ero ancora lontana dall’ambientare la storia nel ’900, non ero ancora pronta a mettere in discussione ciò che è già storicizzato. Per certi versi, la distopia era una scelta comoda che rischiava di far disperdere il messaggio nelle scelte estetiche.

    Avevo creato un corto circuito tra robot che soffrivano l’umanizzazione e umani ridotti a pezzi di ricambio. Macchine inutilmente decorate e costrette ad invecchiare rappresentano bene il concetto, ma questa scelta sarebbe risultata problematica.Mi stuzzicava riprendere il tema già trattato in L’Uomo Bicentenario e trasformare questa scelta in una costrizione dettata dall’insicurezza umana. Qualcuno avrebbe potuto leggervi un tono apocalittico legato allo sviluppo delle intelligenze artificiali e non me lo sarei mai perdonata.

    La critica al fast fashion, altro tema a me caro, è stata del tutto accantonata in questo progetto. Trattare certi temi richiede l’impegno di liberarli da qualsiasi scelta ambigua o fuorviante. Ho faticato tanto a mettere da parte la passione per la moda, ero affascinata da come le AI generative riuscissero a fondere con tale efficacia le composizioni di alcuni editoriali storici e l’estetica he stavo costruendo.

    glamour sci-fi

    NB: Posseggo tutte le licenze d’uso legittime per queste immagini. Per scelta etica, non le commercializzo né traggo profitto dalla loro vendita. L’utilizzo è consentito esclusivamente con attribuzione obbligatoria all’autore.

    I hold all legitimate usage rights for these images. By ethical choice, I do not commercialize or profit from their sale. Usage is permitted only with mandatory attribution to the author.

  • La Grande Magia della percezione: tra guasto tecnico e psiche

    il Manicomio dei Robot – la mente nell’epoca della sua riproducibilità tecnica

    Tra fine agosto e inizio settembre continuavo a girare attorno al parallelismo tra guasto tecnico e malattia mentale. Non avevo ancora deciso quale mezzo di espressione usare, ma la ricerca si faceva sempre più interessante. Stava prendendo forma l’idea bislacca di creare una narrazione immersiva, multimediale e interattiva. Erano settimane in cui era ancora hype il metaverso, e un contenuto ad hoc non lo escludevo come possibilità.

    La metafora dell’automa non era ancora chiara e ben gestita. Qui il manicomio si era imposto come scenografia principale, con tutto il suo orrore, nonostante fossero robot a prendere coscienza e a essere internati.

    Ero ancora immersa nella fase precedente, ricamando insieme scelte stilistiche errate e archetipi inadatti. Avevo chiari i conflitti—senza di essi non esiste narrazione, qualunque sia il mezzo espressivo scelto. A distanza di mesi, confermo quasi tutte le scelte fatte in tal senso.

    L’incontro con il mentore: il teatro di Eduardo De Filippo

    La Cantata dei giorni dispari è una raccolta di opere teatrali scritte da Eduardo De Filippo tra gli anni ’30 e ’70. Il titolo fa riferimento ai “giorni dispari” della vita, quelli più difficili, ed è in contrapposizione con la Cantata dei giorni pari, che raccoglie invece opere più leggere e ottimistiche.

    Rivedere queste opere è stato un passaggio obbligato, ma naturale. Eduardo affronta temi che erano già al centro della mia ricerca: il pessimismo esistenziale, il contrasto tra realtà e illusione, il conflitto generazionale e il senso di emarginazione. In Napoli Milionaria!, Questi fantasmi! e La grande magia, la speranza si scontra con la durezza della realtà. In Filumena Marturano, il cambiamento della società si riflette nei rapporti familiari. Molti personaggi eduardiani vivono ai margini, alla ricerca di un posto nel mondo.

    Sono temi universali, vivi e senza tempo. Sono elementi presenti in Il Viaggio della Matta, ma prima di affrontarli avevo bisogno di confrontarmi con chi mi ha preceduto.

    Tra tutte le opere della Cantata dei giorni dispari, La grande magia è quella che più ha influenzato il mio percorso. Eduardo trasforma l’illusione in una condizione esistenziale, un meccanismo di difesa che si tramuta in prigione. Così ho introdotto il canto, ma la tappa musicale merita uno spazio tutto suo.

    Anche nel mio lavoro, il rapporto tra realtà e percezione è diventato centrale: come Mariano nella sua scatola magica, i personaggi che stavo costruendo cercavano rifugio in una verità alternativa, incapaci di affrontare il guasto—tecnico o mentale—che li imprigionava.

    Questa è stata la tappa più importante della prima fase del percorso. La moodboard si arricchiva di immagini che fondevano in modo caotico le mie ispirazioni. Qui tutti i limiti dell’intelligenza artificiale hanno contribuito a creare un set di immagini disturbanti, ma che ben rappresentavano quello che avevo in mente. L’anima grottesca del romanzo che sto scrivendo è nata in quelle settimane.

    Gli ultimi, i dimenticati, i guasti, i non conformi prendevano forma insieme ai loro mondi. Ero ancora distante dalle soluzioni a cui sono giunta più avanti, ma questo è stato un punto di svolta fondamentale. Un altro risultato è la cancellazione di quella patina glamour che involontariamente stavo trasmettendo al progetto. La decadenza a cui ambivo è qui che emerge nella sua forma più pura. Ciclicamente sottraevo elementi, lasciar andare un’immagine non funzionale arricchisce. Il sovraccarico tematico non è mai una buona idea, volevo soffermarmi sui temi e i conflitti principali. Nei prossimi post parlerò di come ho selezionato i temi da trattare.

    Esoterismo e scienza

    Ho riflettuto su un altro aspetto centrale della mia cultura: il confine sfumato tra medicina e magia. Nel sud Italia, la tradizione esoterica è ancora profondamente radicata, e mi sono resa conto che poteva avere un ruolo significativo nel mio progetto.

    La mia volontà non è di ridicolizzare la magia, anzi. Tengo a conferire a questo tema la dignità che merita. Le credenze popolari, in certi contesti, hanno più credibilità dell’innovazione scientifica. Alcune pratiche magiche hanno un impatto positivo sulla salute mentale degli individui e non intendevo trascurare questo aspetto. Si tende a guardare solo i danni causati da alcune credenze, e non voglio negarli, sia chiaro.

    Le mie idee sono definite su tutti gli argomenti che ho deciso di trattare, ma non esprimo giudizi netti: non tocca a me tracciare i confini tra giusto e sbagliato. Non esiste una sola lettura degli eventi della vita, e intendo conservare questa visione fino all’ultima parola. Che non esista una verità univoca è il macro-tema del romanzo e ha determinato la scelta del narratore.

    Cominciano così a entrare in scena nelle mie cartelle personaggi mistici e manipolatori, figure autorevoli ma senza credibilità, ognuno con le sue debolezze e i suoi poteri. Nessuno di essi è sopravvissuto nel romanzo, ma c’è molto di loro in quelli definitivi. Erano necessari per esplorare le ambiguità tra fede e inganno, tra speranza e sfruttamento. Alcuni incarnavano il potere delle credenze popolari, altri il limite della razionalità di fronte all’ignoto. In questo equilibrio precario tra magia e progresso, tra illusione e realtà, si è definita l’anima del romanzo.

    L’elemento esoterico non è un orpello folkloristico, ma una chiave di lettura per comprendere come la mente umana cerchi costantemente significati, risposte e consolazioni. Così come nel teatro di Eduardo De Filippo l’illusione diventa uno strumento per affrontare (o eludere) la verità, nel mio lavoro la dimensione magica si insinua come una forza narrativa dominante che influenza le sorti della protagonista.

    Da qui, l’idea per la storia ha preso una direzione, in equilibrio tra il grottesco e il tragico, tra il concreto e il simbolico. Usare le allegorie come strumento è forse stata l’unica costante stilistica, anche quando non avevo idea di quale sarebbe stato il punto di arrivo. Il viaggio era appena iniziato, ma dopo l’incontro con il mentore ero pronta a oltrepassare la soglia.

    NB: Posseggo tutte le licenze d’uso legittime per queste immagini. Per scelta etica, non le commercializzo né traggo profitto dalla loro vendita. L’utilizzo è consentito esclusivamente con attribuzione obbligatoria all’autore.

    I hold all legitimate usage rights for these images. By ethical choice, I do not commercialize or profit from their sale. Usage is permitted only with mandatory attribution to the author.

  • Pigmalione e Galatea nel loop della creazione

    La mia Galatea con Pigmalione fotografati dall’AI un attimo prima dell’archviazione

    A metà luglio ero immersa nei miei file. In questa fase di isolamento il chatbot è stato fondamentale per organizzare le idee che vomitavo, ma detestavo la coltre di diplomazia con cui condiva il suo ruolo di mero organizzatore. È stato come avere uno stagista servile e lecchino, ma servizievole e quasi gratuito.

    A differenza di quando disegno su carta, non ho strappato e gettato nulla per la frustrazione. Ho continuato ad archiviare le idee in modo ordinato, anche quando mi impantanavo nella strada sbagliata. Capitava che mi dimenticassi di dormire o mangiare – non è sano, ma ero ostinata a sbloccare un altro ragionamento.

    Sia le persone che le AI ruffiane continuavano a lodare le mie idee banali. Gli umani posso capirli: divento intrattabile quando sono in fase progettuale e tendono ad assecondarmi per quiete vivere. Ma dalle macchine pretendo freddezza analitica. Stavo rischiando di rimanere bloccata in un loop di mediocrità e accondiscendenza.

    In quel periodo mi fu commissionato lo storyboard di una sceneggiatura, un thriller ambientato a Roma. Fino a quel momento non avevo considerato la generazione di immagini realistiche per la mia moodboard. Una volta consegnato il lavoro, ho iniziato a vedere le AI generative come macchine fotografiche dei miei pensieri.

    Così ho iniziato a compilare un album foto-sintetico: ogni mattina raccontavo i miei sogni e li trasformavo in prompt per il generatore di immagini. Una sorta di diario onirico, surreale, romantico, a tratti disturbante che terrò per me. Le deformazioni anatomiche che avevano rallentato il lavoro precedente, qui definivano la cifra stilistica delle mie allucinazioni.

    Ero sempre più ossessionata dai miei archivi robot-feticisti — sì ho ancora il mio tumblr. Donne e automi, fembot e scienziati, creature e creatori. In questa fase è riemersa la mia passione per la moda: i dettagli sartoriali misti a quelli robotici mi stimolavano. Non sono elementi spendibili per il progetto, ma nel futuro distopico Art Nouveau in cui ero immersa avevano senso. Alcuni li trovavo magnifici.

    Ero ancora lontana dalle scelte giuste: continuavo a forzare le idee in una dima sbagliata. Epoca, personaggi, dinamiche… tutto era errato e fuori fuoco. Ma trovavo rassicurante l’estetica che emergeva.

    Per quanto sia legata a questo archetipo, il ruolo maschile del riparatore si prestava a troppi fraintendimenti. L’uomo che aggiusta la sua creazione, anche se articolato e ben costruito, in narrativa è un topos molto diffuso e anacronistico. Rischiava di assumere una connotazione patriarcale e paternalistica, pur escludendo abilmente una dinamica esplicita di controllo sulla creatura.

    Il mio obiettivo è quello di scrivere una storia stratificata, ma dal significato chiaro anche per chi tende a eccessi interpretativi. L’ erotismo di questa coppia di archetipi: creatura e creatore si presta a fastidiose strumentalizzazioni. Esplorare la sessualità di questo tema è stato un esercizio di pornografia estetica. Una fase piacevole, distante, ma funzionale al processo.

    Il robot-feticismo è una fantasia troppo poco diffusa per essere spendibile e di sicuro non avevo in mente un romanzetto erotico. Quello che conosco e amo deve essere solo un mezzo per fare delle scelte, ma mai essere la scelta.

    Le bozze delle sinossi, le schede personaggio, la struttura metanarrativa, i salti temporali – rilette oggi – mi fanno tenerezza. Goffe e distanti, come un bambino dalla sua età matura. Ma sono state tappe propedeutiche al distacco.

    Le idee sono vive. Quando nascono, devi starci dietro ogni giorno. Devi nutrirle, pulirle dai rigurgiti, medicarle, sederti e studiare con loro. Poi, proprio come i figli, da un giorno all’altro te li ritrovi adolescenti: pieni di potenziale, ma non privi di problematiche.

    Pigmalione e Galatea in questa rielaborazione distopica sono stati archiviati. Mesi dopo sono tornati nell’immaginario della protagonista del Viaggio della Matta, una citazione dovuta.

    NB: Posseggo tutte le licenze d’uso legittime per queste immagini. Per scelta etica, non le commercializzo né traggo profitto dalla loro vendita. L’utilizzo è consentito esclusivamente con attribuzione obbligatoria all’autore.

    I hold all legitimate usage rights for these images. By ethical choice, I do not commercialize or profit from their sale. Usage is permitted only with mandatory attribution to the author.

  • AI, moodboard e selezione creativa: perché cestinare è essenziale

    Una regola che mi sono imposta quando ho integrato l’intelligenza artificiale nel mio lavoro è utilizzarla solo in campi in cui ho maggiore competenza. Bisogna stare molto attenti a non conferire un potere esoterico. Non è tecnicamente infallibile e non ha poteri magici.

    Questo perché è facile lasciarsi ingannare dalla soddisfazione illusoria che ne deriva. Il design dei chatbot in particolare è focalizzato sul garantire un’esperienza utente gratificante. Avere tutto e subito è appagante, e gli sviluppatori lo sanno bene.

    Usarle per fare brainstorming è rischioso. Ogni idea sembra quella giusta. Disinnescare la compiacenza dei chatbot non è facile, ma nemmeno una perdita di tempo. Mantenere la capacità di rimettere tutto in discussione è il vero superpotere per differenziarsi oggi. Approcciarsi a questi strumenti con spirito critico è fondamentale: valutare la validità dell’output spetta a noi.

    A luglio 2024 la generazione di immagini e appunti per la mia moodboard ha raggiunto il suo picco. La rapidità con cui, grazie all’AI generativa, le idee sembrano prendere vita è stimolante quanto pericolosa. Il rischio di accontentarsi e cadere in una fase di pigrizia creativa è reale.

    A distanza di otto mesi e tantissimo lavoro, queste immagini mostrano tutta la loro ingenuità, nonostante alcuni elementi siano stati fondamentali per lo sviluppo della storia.

    Il mio metodo in questa fase era scrivere le idee a un chatbot, ricavarne degli elenchi e farglieli convertire in prompt da dare all’AI per generare immagini — ora ci sono modelli integrati. Il mio obiettivo era fondere le reference che avevo scelto, testarne l’estetica, immergermi nell’atmosfera che avevo in mente. Per ottenere risultati in linea con la propria idea, è fondamentale rispettare precise gerarchie di elementi. Cercavo di dirigere la generazione verso uno stile simile al mio, in modo da poter prelevare con più serenità gli elementi di mio interesse, qualora fosse stato necessario.

    Fare dei collage di immagini è sempre stato il primo step, con l’AI posso fonderle insieme con rapidità ,senza dover cercare, stampare, ritagliare e incollare. In qualsiasi momento e ovunque mi trovassi. Non è sintomo di pigrizia, ma solo un modo per tenere traccia anche dell’idea che in apparenza sembra superflua o indimenticabile. Nel mio modo di lavorare, queste immagini servono solo come appunti. Ho una certa avversione per chi le considera un prodotto spendibile, al di là della qualità estetica e di quanto sia performante la piattaforma che si usa.

    Per quanto ogni forma d’arte sia l’elaborazione di cose apprese in precedenza, e per quanto possiamo essere bravi a scrivere dei buoni prompt, considero la generazione di immagini solo parte del processo. La questione dei diritti d’autore legata all’AI non è risolta e nessuno dovrebbe vendere questi risultati come se fossero propri. Generare immagini nella fasi preparatorie a un progetto non è diverso dal salvare immagini trovate online o ritagli di giornali.

    Con gli upgrade recenti è perfino possibile non fermarsi. Continuare a restituire all’AI i risultati, insieme a foto o disegni personali, corredati da buoni prompt è una via valida e rispettabile. Come in ogni buona indagine, fermarsi al primo risultato è solo un limite. Bisogna poi ricordarsi di dedicare molto tempo alla post-produzione se non si resiste dall’usarle. Per questo progetto sto disegnando a china le mie illustrazioni, quindi la commercializzazione di immagini generate con l’AI non è un mio problema.

    Credo sia utile fare chiarezza sul ruolo che ha giocato questa tecnologia nei miei processi: quanto sia stata preziosa in questa prima fase, ma anche quanto sia lontana dal risultato effettivo. Gli elementi che ho mixato nei miei prompt sono: modernità storica, decadenza, abbandono, tecnologia, casa di cura ed esoterismo. Mi hanno aiutato a mantenere il focus sugli obiettivi e a delineare gli elementi chiave dell’opera. Ma considerare buoni questi risultati denota una certa ingenuità.

    Ambientazione

    La distopia è il primo espediente narrativo che viene in mente quando si vuole criticare il presente. Se mi fossi fermata all’idea di ambientare la sceneggiatura nel futuro, sarei caduta in una serie di insensati cliché. Stiamo già vivendo il futuro distopico profetizzato dai nostri predecessori, sembra scontato, ma l’ho realizzato durante il tragitto. Credo sia normale, all’inizio di un progetto inciampare in scelte pigre. Troviamo rassicurante e valido quello che già conosciamo. Distruggerlo e ricominciare è parte del percorso.

    Di questa banalità iniziale salvo l’aver Immaginato un futuro in cui lo stile Liberty fosse tornato di moda per poi essere nuovamente abbandonato. L’obiettivo era descrivere un’architettura che fosse una rielaborazione dell’Art Nouveau del futuro, ma che portasse i segni del successivo abbandono. Questa angoscia è ancora presente in fase di stesura, ma ha preso forme e direzioni diverse.

    Non accontentarsi è faticoso, ma è un consiglio che si comprende solo con il senno di poi. Documentare il mio workflow è un messaggio alla me del futuro, ma che lascio disponibile anche per chiunque avesse bisogno di un punto di vista differente. Per quanto riguarda l’utilizzo delle Ai ci sono apocalittici e integrati, io mi colloco nel mezzo, e non vedo molti artisti condividere questa visione.

    Comprendo la polemica, legittima, ma demonizzare un mezzo utile solo perché qualche casa editrice la predilige per massimizzare i guadagni è un limite. Ricordo le stesse crisi quando Photoshop divenne alla portata di tutti. Ci sarà sempre un mediocre che fa un uso scorretto di una tecnologia eccellente. Come dissi in questa intervista nel lontano 2017:

    il problema è sempre dell’operatore e mai del calcolatore

    NB: Posseggo tutte le licenze d’uso legittime per queste immagini. Per scelta etica, non le commercializzo né traggo profitto dalla loro vendita. L’utilizzo è consentito esclusivamente con attribuzione obbligatoria all’autore.

    I hold all legitimate usage rights for these images. By ethical choice, I do not commercialize or profit from their sale. Usage is permitted only with mandatory attribution to the author.

  • Prima fase: dall’ispirazione al seme dell’opera

    Cosa sia e quanto conti l’ispirazione in scrittura è ancora argomento di discussione. So quale sia stata la mia e quanto peso abbia in questo progetto.

    Tutto è iniziato a giugno 2024 mentre descrivevo la sensazione di sentirmi come una macchina guasta, un automa difettoso, qualcosa di sofisticato, ma obsoleto, che non stava funzionando come da progetto.

    Avevo in mente questa immagine: un femrobot in riparazione sulla copertina di una vecchia rivista. Sono sempre stata affezionata a questa illustrazione di Ed Emshwiller, mi aveva ispirato una canzone vent’anni prima. Ma questa volta avevo un solo obiettivo: prendermi del tempo per decidere cosa dovesse diventare. Lontana dai social network non sento la pressione del tempo, o di fantomatiche occasioni che scappano via. In questi anni ho imparato a dedicare il giusto spazio alle cose.

    Sapevo di dover iniziare un percorso di distacco. Se a vent’anni puoi permetterti di essere autobiografica con una canzoncina, a quaranta rischi di essere ridicola se la tua vita non è di pubblico interesse.. Per questo ho lavorato tanto per separare esperienza dal messaggio da un certo punto del processo creativo.

    Non sapevo bene dove incanalare questa sensazione, quali delle mie severe opinioni veicolare, quale mezzo espressivo scegliere. L’unica certezza era che andava convertita in qualcosa di utile, non solo per me, ma anche per i futuri fruitori.

    Credo sia una sensazione comune a molti e usarla come veicolo per il punto di vista tematico aveva senso. Ho maturato opinioni sul mondo e mi sento pronta per esprimerle, con la giusta tecnica e senza riserva. Ho selezionato con cura le più necessarie, ma è stato un processo lungo e costante.

    Nei mesi successivi la sceneggiatura prendeva forma—senza sapere ancora per quale mezzo. Un videogame, uno spettacolo teatrale, un’esperimento di realtà aumenta, un concept album… sapevo solo che dovevo metterci tutte le competenze acquisite in quarant’anni.

    Durante i primi mesi ho abusato delle AI: mi ha aiutato molto a generare immagini e appunti che hanno catturato parte dei miei contorti processi mentali. Ho una formazione da designer, questo mi porta a non accettare mai le prime soluzioni che mi vengono in mente, so quanto sia importante cestinare le idee.

    Queste solo alcune delle circa tremila immagini che ho generato in questa primissima fase. Nei prompt aggiungevo sempre un tocco decadente Art Nouveau. La modernità storica è una cosa che ho evocato sin dal primo giorno.

    Emergeva sempre più forte l’esigenza di criticare la società tecnocratica dal punto di vista di chi ama la tecnologia da sempre, ma assiste impotente al suo utilizzo in modi sempre più distruttivi per l’individuo. Ma non è di certo l’unica cosa su cui voglio dibattere.

    Per quanto ora sia distante anni luce da queste prime bozze sintetiche, una parte di esse è nel DNA dell’opera. Per me sono sempre stati solo dei collage, proprio come quelli che facevo un tempo per le moodboard con colla, cartelle colore e ritagli.

    Dopo quasi un decennio di oblio e pseudonimi, non potevo prevedere che sarei anche tornata a pubblicare online, ma il blogging è la mia cofort-zone. Nuda e cruda, senza statistiche, stratagemmi e vanità.

    NB: Posseggo tutte le licenze d’uso legittime per queste immagini. Per scelta etica, non le commercializzo né traggo profitto dalla loro vendita. L’utilizzo è consentito esclusivamente con attribuzione obbligatoria all’autore.

    I hold all legitimate usage rights for these images. By ethical choice, I do not commercialize or profit from their sale. Usage is permitted only with mandatory attribution to the author.