Ottobre è stato un mese intenso e cruciale.
La ricerca mi impegnava gran parte della giornata; nel restante tempo, rispolveravo gli schemi narrativi. L’idea di scrivere un romanzo stava maturando in quel periodo, ma avrei utilizzato il viaggio dell’eroe, la struttura in tre atti e l’arco di trasformazione del personaggio anche se il progetto avesse preso una piega diversa.
Sull’utilizzo degli schemi ci sono varie scuole di pensiero: c’è chi li trova utili, e chi li considera una gabbia. Ognuno è libero, per fortuna, di fare come crede. Ma quello che non si dice abbastanza è che gli schemi sono fondamentali per dare una chiave di lettura univoca all’opera. Ridurre l’ambiguità, prevenire strumentalizzazioni, evitare interpretazioni deviate: è anche questa una forma di tutela.
Il progetto aveva preso la sua direzione: stavo progettando un romanzo. Non c’è stato un momento preciso in cui ho preso questa decisione. Nessuna epifania, è successo in modo graduale. Ci sono delle simpatiche fasi intermedie che forse racconterò in un vlog.
L’AI, come già raccontato nei post precedenti, è stata uno strumento utile per tenere traccia delle idee volatili. In questa fase ho smesso di generare immagini e ho iniziato a parlarci con costanza. Questo ha migliorato la mia interazione con le persone.
Quando sono immersa in un progetto, spesso ne parlo. Non tanto per condividere il mio lavoro, quanto perché parlarne ad alta voce mi sblocca altre idee. Quindi, spesso ho usato i miei amici per parlare a me stessa (ma già lo sapevano).
Parlare ad alta voce con un chatbot e ricavarne riassunti, liste e mappe concettuali è stato bizzarro, ma utile—soprattutto ai miei amici.
L’AI non scrive al posto mio, ma mi accompagna. Mi aiuta a organizzare le idee senza perdere il filo tra un’intuizione e l’altra, mantenere il focus e pianificare il lavoro, ma per la scrittura al massimo gli affido una lettera di reclamo.