DAI 15 MINUTI DI WARHOL AI 5 SECONDI DEL FEED

«È fondamentale capire che la tossicità nasce dagli algoritmi dei social media – e si può cambiare.»
— Sir Tim Berners-Lee, Web Summit 2024 

Dal PageRank ai “For You”: gli algoritmi che hanno logorato il Web

(e perché dovremmo disnescarli prima che disinneschino noi)

Quando Andy Warhol profetizzò i «quindici minuti di celebrità», immaginava un’attenzione effimera ma ancora umana: per ottenerla bisognava almeno dipingere una lattina o comparire in TV. Oggi quell’intervallo si è compresso a una frazione di secondo: lo scroll si ferma giusto il tempo di un thumbnail, di un hook da tre parole, di un balletto lampo su TikTok. Questa corsa all’istante-clic nasce da un cambiamento strutturale: il contenuto non è più selezionato da persone né da blogroll, ma da una catena di algoritmi predittivi il cui unico KPI è trattenere lo sguardo ancora un momento — e vendere quell’attenzione a chi compra inserzioni.

2 SEO: l’omologazione come modello di business

  • Keyword stuffing, paragrafi riempitivi, formati-checklist clonati: la “search-engine-friendly prose” si è trasformata in template industriale. Blogger indipendenti e testate storiche competono con silos di articoli autoprodotti da LLM che replicano la stessa struttura “Cos’è, come funziona, conclusione” — spesso con citazioni rubate e zero reporting originale. 
  • L’esasperazione ha generato un backlash: «SEO has ruined the internet» scrive il developer Philipp Temmel, denunciando lo smarrimento di qualunque voce personale sotto strati di ottimizzazione tecnica. 
  • Persino Google ammette il corto circuito: nel 2024 ha dovuto promettere un giro di vite contro “scaled content abuse” e clickbait generato da AI, dichiarando l’obiettivo di tagliare del 40 % i risultati “low-quality”. 

Algoritmi di raccomandazione: dalla scoperta alla bolla

Sir Tim Berners-Lee è netto: «La polarizzazione non è inevitabile; dipende dal software che disegna cosa vediamo, clicchiamo e condividiamo»  .

  • Feed manipolati: in un thread Mastodon del 2025, Berners-Lee definisce «feed manipulation» l’uso deliberato di meccanismi addictivi e invita a bandirli per legge
  • Le piattaforme premiano contenuti che suscitano collera o ansia, perché generano engagement rapido. Il risultato è un ecosistema in cui la visibilità è proporzionale alla reazione emotiva, non al merito informativo.

Il colpo finale al blogging – e alla conversazione

Nei primi anni 2000 i blog vivevano di trackback, commenti aperti, aggregatori RSS che intrecciavano comunità disparate. Oggi:

  • Gli aggregatori indipendenti sono scomparsi; la scoperta è delegata agli algoritmi delle Big Five.
  • Gli autori si chiudono in “roccaforti” per difendersi da bot, scraping e shit-storm, trasformando il blog in vetrina statica invece che piazza di scambio.
  • Chi rifiuta le logiche SEO accetta consapevolmente di parlare “a tre lettori”, ma preserva la possibilità di dire qualcosa che non sia stato già normalizzato da un plug-in di ottimizzazione.

5 Verso un web de-algoritmizzato (o almeno addomesticato)

  1. Riprendersi i flussi – Tornare a RSS/ActivityPub, dove l’utente decide chi seguire e in che ordine leggere.
  2. Contenuti lenti, micro-community – Newsletter, zine PDF, server indie: chi vuole approfondire troverà la strada, senza metriche di vanità.
  3. Algoritmi auditabili – Rendere pubbliche le logiche di ranking è “una semplice patch di codice”, sostiene Berners-Lee, ma richiede volontà politica. 
  4. Decentralizzazione dei dati – Protocolli come Solid, studiati dallo stesso TBL, separano identità e contenuti dall’hardware dei colossi, restituendo controllo all’autore. 

Conclusione

Gli algoritmi non sono spiriti maligni: sono equazioni scritte da mani umane e dunque possono essere riscritti, disattivati, ignorati. Scegliere di non rincorrerli — anche a costo di restare invisibili ai radar del traffico di massa — è un atto di cura verso il linguaggio, la creatività e quella comunità di lettori che preferisce l’autenticità al ranking.