Sarei ipocrita se negassi l’importanza che hanno avuto i social network nella mia vita, ma non smetterò mai di denunciare lo strumento di potere che sono diventati. Ricordo ancora il senso di solitudine dopo lo scandalo Cambridge Analytica, quella sensazione di essere immersa in una degenerazione di cui nessuno sembra rendersi conto, che nel 2019 mi ha portato a chiudere tutti i miei profili social. Da mezzo di autodeterminazione e connessione, internet si era trasformato in teatro di gogne mediatiche, propaganda algoritmica e manipolazione emotiva. La deriva tecnocratica di cui parlavo per spiegare le ragioni dietro la mia scelta è ora palese, coinvolge tutti e non può essere ignorata.
Il caso di Francesca Albanese rappresenta l’ennesima conferma che non si tratta di semplici “problemi dei social media”, ma di un sistema di potere che utilizza la tecnologia per silenziare voci critiche e proteggere interessi consolidati.
Quando la ricerca della verità incontra il potere tecno-economico
Il 30 giugno 2025, Francesca Albanese, Relatrice Speciale ONU per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, ha pubblicato un rapporto che ha scosso non solo la comunità internazionale, ma l’intero ecosistema tecno-industriale globale. Il documento “From economy of occupation to economy of genocide” [PDF] non si limita a denunciare la violenza militare: svela le interconnessioni tra giganti tecnologici, sistema finanziario e conflitti contemporanei.
Il rapporto: oltre le armi tradizionali
Il rapporto di Albanese va oltre l’analisi dell’industria bellica tradizionale. Documenta come Google (Alphabet), Amazon, IBM, Microsoft, Palantir e altre corporazioni tecnologiche forniscano infrastrutture che abilitano operazioni militari di precisione. Non si tratta di semplici fornitori di servizi, ma di architetti di sistemi che permettono targeting automatizzato, analisi predittiva e coordinamento operativo.
La cifra riportata – 85.000 tonnellate di esplosivi sganciate su Gaza, equivalenti a sei volte la potenza di Hiroshima – diventa più inquietante quando si comprende che questa capacità distruttiva è amplificata dall’efficienza algoritmica. Sistemi di intelligenza artificiale ottimizzano la selezione degli obiettivi, cloud computing elabora intelligence in tempo reale, algoritmi di machine learning predicono movimenti e comportamenti.
La risposta del sistema: sanzioni come strumento di controllo
Il 9 luglio 2025, l’amministrazione Trump ha imposto sanzioni contro Albanese attraverso l’Ordine Esecutivo 14203, accusandola di condurre una “campagna di guerra politica ed economica contro Stati Uniti e Israele”. Questa reazione rivela un meccanismo preoccupante: quando la ricerca democratica della verità minaccia interessi tecno-economici consolidati, il sistema risponde con strumenti di pressione diretta.
Le sanzioni sono state condannate dall’ONU, dall’Unione Europea e da Amnesty International, che le ha definite “un vergognoso affronto alla giustizia internazionale”. Questo caso rappresenta un precedente pericoloso: per la prima volta, un governo sanziona direttamente un funzionario ONU per aver svolto il proprio mandato democratico.
Google complice anche nella campagna di discredito
Mentre Francesca Albanese veniva sanzionata per aver svolto il suo mandato ONU, una campagna diffamatoria parallela veniva sponsorizzata attraverso Google Ads. Digitando il suo nome su Google, il primo risultato che compariva era un annuncio pubblicitario a pagamento con un titolo denigratorio che evito di riportare. Il link rimandava a un sito pieno di manipolazioni e accuse infondate.
Il dominio non riportava alcun referente ufficiale né disclaimer, ma godeva di visibilità privilegiata grazie alla sponsorizzazione tramite Google, proprio la stessa azienda citata nel rapporto per la sua complicità nei crimini tecnologici di guerra.
Questo episodio rappresenta un conflitto d’interessi inquietante: un’azienda accusata in un documento ONU di facilitare operazioni militari, che poi monetizza una campagna contro l’autrice del rapporto stesso.
YouTube e la propaganda generata con l’intelligenza artificiale
Già da tempo su YouTube — anch’esso di proprietà di Google — sono comparsi video pubblicitari sponsorizzati da enti governativi israeliani, prodotti tramite intelligenza artificiale, in cui voci sintetiche millantano aiuti umanitari e accuse ai miliziani di Hamas come responsabili delle condizioni dei civili palestinesi.
Questi video, spesso accompagnati da immagini generate o modificate digitalmente, mirano a riformulare la narrativa del conflitto in chiave propagandistica, svuotando di forza ogni denuncia documentata da fonti indipendenti. La loro diffusione avviene in parallelo alla censura implicita di contenuti critici, sospesi o demonetizzati per presunte violazioni delle policy.
Da un lato si sanziona chi denuncia crimini documentati, dall’altro si concede spazio promozionale (a pagamento) a contenuti manipolativi costruiti con strumenti avanzati di comunicazione artificiale.
La dimensione tecnocratica: oltre il controllo politico tradizionale
Non siamo più di fronte al capitalismo industriale del XX secolo, ma a un sistema ibrido dove la decisione politica è influenzata da algoritmi. I sistemi di raccomandazione, i modelli predittivi e l’analisi dei big data orientano le scelte politiche.
I dati sono potere: chi controlla i flussi informativi controlla la percezione della realtà. L’efficienza tecnologica maschera scelte ideologiche, dietro l’apparente neutralità degli algoritmi si nascondono bias e interessi specifici. La complessità tecnica scoraggia il controllo democratico e i cittadini rinunciano a comprendere sistemi percepiti come troppo complessi.
Smascherare il mito della neutralità tecnologica
La trasformazione di Internet da strumento di connessione a macchina di manipolazione – trova nel caso Albanese la sua conferma più drammatica. La relatrice ONU ha compiuto un’operazione di “demistificazione” cruciale: ha dimostrato al mondo che la tecnologia non è neutrale. Ogni algoritmo incorpora le assunzioni di chi lo progetta, ogni sistema riflette gli interessi di chi lo finanzia, ogni piattaforma serve gli obiettivi di chi la controlla.
Quando Google sviluppa Project Nimbus per fornire servizi cloud alle forze militari israeliane, non sta semplicemente “vendendo server”. Sta abilitando capacità operative specifiche. Quando Amazon fornisce servizi AWS per analisi di intelligence, non è un “fornitore neutrale” ma un facilitatore attivo di strategie militari.
la coscienza sfida il profitto
Non tutti all’interno dei giganti tech accettano passivamente le decisioni controverse. Nel 2018 più di 4000 dipendenti Google firmarono una petizione contro Project Maven, spingendo l’azienda a non rinnovare il contratto con il Pentagono. Tre anni dopo, la whistleblower Frances Haugen consegnò al Congresso i “Facebook Files”, accusando l’azienda di «scegliere il profitto sopra la sicurezza, ancora e ancora». Nello stesso periodo la data-scientist Sophie Zhang rivelò come Facebook ignorasse reti di manipolazione politica in oltre venti Paesi considerati “non prioritari”. Nel 2021 nacque l’Alphabet Workers Union, il primo sindacato trasversale di Google aperto a dipendenti e collaboratori, per imporre più trasparenza e responsabilità etica. E quando, nel 2020, la ricercatrice Timnit Gebru fu allontanata dopo aver denunciato i bias degli algoritmi linguistici, oltre 1500 colleghi firmarono una lettera di sostegno. Il fatto che queste voci emergano — e vengano poi spesso silenziate — mostra insieme l’esistenza di una resistenza morale interna e i meccanismi aziendali che tentano di soffocarla.
Facebook, più e più volte, ha dimostrato di scegliere il profitto anziché la sicurezza
— Frances Haugen, ex Product Manager nel team Civic Integrity di Facebook (oggi Meta), whistleblower del 2021.
La resistenza democratica: oltre la regolamentazione
Il caso Albanese ci insegna che la regolamentazione tradizionale non è sufficiente. I giganti tecnologici hanno dimostrato di poter assorbire e neutralizzare le normative, trasformandole in barriere all’ingresso per i concorrenti più piccoli.
La mia scelta di abbandonare i social nel 2019 è stata una forma di resistenza individuale, ma oggi capiamo che serve una strategia più ampia e collettiva:
Alfabetizzazione tecnologica di massa
Sono finiti i tempi dell’ingenuità, dell’entusiasmo, dell’uso passivo dei mezzi. Ogni cittadino dovrebbe avere conoscenze di base su:
- Come funzionano gli algoritmi di raccomandazione
- Che tipo di dati vengono raccolti e come vengono utilizzati
- Come riconoscere manipolazione e bias algoritmici
- Quali alternative esistono alle piattaforme dominanti
Decentramento delle infrastrutture
- Invece di dipendere da monopoli tecnologici, dobbiamo scegliere o costruire alternative:
- Reti peer-to-peer per comunicazioni sicure
- Sistemi di archiviazione distribuita
- Motori di ricerca indipendenti
- Piattaforme social basate su protocolli aperti
Controllo democratico delle tecnologie critiche
- Le infrastrutture digitali essenziali dovrebbero essere gestite come beni comuni:
- Controllo pubblico delle reti di comunicazione
- Trasparenza algoritmica obbligatoria
- Partecipazione cittadina nelle decisioni tecnologiche
- Audit indipendenti sui sistemi critici
Economia post-sorveglianza
Dobbiamo immaginare modelli economici che non dipendano dalla mercificazione dei dati personali:
- Servizi basati su abbonamenti invece che su pubblicità
- Cooperative digitali gestite dagli utenti
- Tecnologie privacy-first per design
- Sistemi di pagamento che proteggano l’anonimato
La lezione per l’Italia e l’Europa
Il silenzio del governo italiano di fronte alle sanzioni contro Albanese è sintomatico di una più ampia acquiescenza europea verso il dominio tecno-economico statunitense. L’Europa ha le competenze e le risorse per sviluppare alternative democratiche, ma manca la volontà politica.
Dovremmo:
- Investire massicciamente in ricerca e sviluppo tecnologico pubblico
- Creare campioni europei nelle tecnologie critiche
- Sviluppare standard etici per l’intelligenza artificiale
- Proteggere i ricercatori e i giornalisti che investigano il potere tecnologico
Strumenti pratici per la resistenza quotidiana
Ogni cittadino può contribuire alla resistenza democratica, maturando consapevolezza tecnica e utilizzando tecniche di autodifesa digitale:
- Utilizzare motori di ricerca alternativi (DuckDuckGo, Startpage)
- Adottare browser privacy-focused (Firefox, Brave)
- Comunicare attraverso app crittografate end-to-end (Signal, Element)
- Utilizzare VPN per proteggere la navigazione
Scelte di consumo consapevole:
- Evitare prodotti di aziende coinvolte in attività militari controverse
- Supportare progetti open source e cooperative digitali
- Informarsi sulle pratiche etiche delle aziende tecnologiche
- Diversificare le fonti di informazione
Partecipazione democratica:
- Partecipare a dibattiti pubblici sulla regolamentazione digitale
- Sostenere organizzazioni che promuovono diritti digitali
- Educare familiari e amici sui rischi della concentrazione tecnologica
Verso una tecnologia democratica
Il caso Albanese ci mostra che la tecnologia può essere strumento di oppressione o di liberazione. La differenza non sta nella tecnologia stessa, ma nel controllo democratico che esercitiamo su di essa.
Non dobbiamo temere la tecnologia, ma rivendicare il diritto di comprendere come funziona, di partecipare alle decisioni che la riguardano, di costruire alternative quando necessario.
La vera domanda non è se la tecnologia è buona o cattiva, ma: chi decide come viene utilizzata?
Francesca Albanese ha dimostrato che è possibile sfidare il potere tecno-economico attraverso la ricerca rigorosa e il coraggio intellettuale. Il prezzo che ha pagato – sanzioni internazionali per aver fatto il proprio lavoro – dovrebbe motivarci tutti a non delegare più le decisioni tecnologiche a chi ha interessi diversi dai nostri.
Conclusione
Il caso Albanese segna un momento di svolta: la tecnologia non è più un settore tra gli altri, ma il terreno principale su cui si gioca il futuro della democrazia.
Ogni algoritmo che accettiamo passivamente, ogni piattaforma che utilizziamo senza riflettere, ogni sistema che deleghiamo senza controllo, è un pezzo di sovranità democratica che regaliamo a chi potrebbe usarlo contro i nostri interessi.
La lezione di Francesca Albanese è chiara: la neutralità non esiste. Né nella tecnologia, né nella ricerca, né nelle nostre scelte quotidiane.
Dobbiamo scegliere da che parte stare: dalla parte di chi usa la tecnologia per concentrare potere e ricchezza, o dalla parte di chi la vuole mettere al servizio della giustizia e della democrazia.
I processi di Big Data codificano il passato. Non inventano il futuro. Per farlo è necessaria l’immaginazione morale, qualcosa che solo gli esseri umani possono fornire.
— Cathy O’Neil, Weapons of Math Destruction (2016)
NB: Ho un canale YouTube attivo dal 2006: una scelta pragmatica che, lo ammetto, presenta una contraddizione, dato che YouTube è di proprietà di Google. Tuttavia ho bisogno di almeno una piazza digitale dove esprime dissenso, ho scelto YT perché privilegio la comunicazione unidirezionale e riflessiva rispetto all’interazione compulsiva tipica dei social network, pur ammettendo il compromesso ideologici di questa posizione. Inoltre, riconosco la presenza di creator per cui vale la pena esserci anche come spettatrice, e credo che un uso consapevole e parsimonioso sia purtroppo necessario.
Fonti e link utili
- Rapporto ONU completo – From economy of occupation to economy of genocide (PDF, 30 giu 2025)
- Scheda ufficiale OHCHR della Relatrice speciale
- Comunicato del Dipartimento di Stato USA – “Sanctioning Lawfare that Targets U.S. and Israeli Persons” (9 lug 2025)
- The Washington Post – “U.S. imposes sanctions on U.N. official investigating Israel over Gaza” (9 lug 2025)
- The Guardian – “Microsoft deepened ties with Israeli military to provide cloud, AI during Gaza war” (23 gen 2025)
- Guide “Surveillance Self-Defense” – Electronic Frontier Foundation
- Guida Tor – Privacy Guides (strumento anti-censura e anonimato)