La narrazione inaffidabile è una tecnica narrativa che mette in discussione la verità del racconto, evidenziando come ogni storia – letteraria o di vita vissuta – sia inevitabilmente filtrata dalla soggettività di chi la racconta.
Le radici teoriche
Il concetto fu formalizzato da Wayne C. Booth nel 1961, nel saggio The Rhetoric of Fiction. Booth definì inaffidabile un narratore la cui credibilità è compromessa o ambigua, spingendo il lettore a interrogarsi costantemente sulla veridicità degli eventi narrati. Un esempio emblematico è La coscienza di Zeno di Italo Svevo, dove il protagonista offre una versione della propria vita contraddittoria e manipolatoria, in bilico tra autoassoluzione e autoinganno.
Narratori inaffidabili in letteratura
La letteratura è ricca di figure simili: dal giovane Holden di Salinger, che filtra il mondo attraverso la sua ribellione adolescenziale, fino a Humbert Humbert in Lolita, narratore affascinante e disturbante, che seduce il lettore mentre deforma la realtà. Questi personaggi ci ricordano che ogni racconto è una costruzione soggettiva, e che l’inattendibilità è spesso il primo indizio di una verità più profonda.
Filosofia e percezione
Anche sul piano filosofico, il narratore inaffidabile apre interrogativi sulla natura della verità. Il pensiero postmoderno – da Lyotard a Derrida – ha messo in crisi l’idea di una verità unica, mostrando come ogni visione del mondo sia mediata da linguaggi, contesti e strutture di potere. In questo senso, l’inaffidabilità non è un errore, ma una condizione inevitabile della narrazione umana.
Un impatto personale
Nella scrittura immersiva, l’inaffidabilità del punto di vista non è un’eccezione, ma una condizione strutturale: tutto passa attraverso la percezione del protagonista, che per sua natura è parziale, emotiva, talvolta allucinata. Lavorare a questo progetto ha cambiato anche il mio modo di ascoltare le storie altrui nella vita quotidiana. Non direi che mi ha resa più scettica – al contrario, credo di essere diventata più empatica. Ma un’empatia vigile, capace di cogliere i bias, le omissioni, i piccoli autoinganni che fanno parte del raccontarsi.
Di tutti gli effetti collaterali della scrittura, questo è forse il più funzionale: mi aiuta a non prendere mai una storia alla lettera — e a leggere tra le righe, di chiunque.