Tecnologie della memoria e simulazione del lutto nell’era degli avatar
Abstract
L’articolo esamina il fenomeno emergente della replica digitale dei defunti attraverso avatar interattivi, chatbot commemorativi e deepfake post-mortem. Attraverso un’analisi comparativa che colloca queste pratiche contemporanee nella genealogia storica delle tecnologie del lutto – dalla fotografia post-mortem vittoriana alle registrazioni spiritiche – si indaga come la digitalizzazione abbia trasformato qualitativamente il rapporto con la morte.
Questa riflessione si inserisce in un percorso di ricerca più ampio, avviato in precedenti contributi sull’uso simbolico della tecnologia nella costruzione del corpo artificiale e sulla memoria digitale come spazio di negoziazione affettiva. Tale percorso ha mostrato come la tecnica non si limiti a supportare funzioni pratiche, ma modelli profondamente anche le strutture emotive e culturali.
L’indagine si concentra sulla transizione dalla conservazione passiva della memoria alla riattivazione interattiva del defunto, analizzando le implicazioni antropologiche, psicologiche ed etiche di questa svolta tecnologica. Emerge un paradosso centrale: mentre le tecnologie digitali promettono di preservare e rianimare i morti, rischiano di impedire l’elaborazione simbolica del lutto, creando una zona grigia tra presenza e assenza che sfida i meccanismi tradizionali di elaborazione della perdita.
1. Introduzione
Il panorama contemporaneo della memoria digitale presenta una trasformazione radicale nel modo in cui le società gestiscono il rapporto con la morte. Servizi come HereAfter, Project December, Super Brain e D-ID promettono di trasformare i dati digitali dei defunti in avatar interattivi, capaci di conversare, rispondere e “comportarsi” come la persona scomparsa. Questa fenomenologia, che si estende dai semplici chatbot testuali agli ologrammi conversazionali, configura quello che potremmo definire un “necro-capitalismo digitale” dove la morte diventa oggetto di elaborazione algoritmica e commercializzazione.
L’obiettivo di questo studio è analizzare criticamente le pratiche contemporanee di replica digitale dei defunti, collocandole all’interno di una genealogia storica delle tecnologie del lutto e interrogando le loro implicazioni antropologiche, psicologiche ed etiche. La tesi sostenuta è che, mentre la tecnologia è sempre stata parte integrante dei rituali di elaborazione del lutto, la digitalizzazione introduce una discontinuità qualitativa: dalla conservazione statica della memoria si passa alla riattivazione dinamica del defunto, creando un’ambiguità ontologica che problematizza i processi tradizionali di elaborazione della perdita.
2. Tecnologie del lutto: una genealogia storica
2.1 La fotografia post-mortem: memento mori nell’era della riproducibilità tecnica
La fotografia post-mortem rappresenta il primo caso di tecnologizzazione massiva della memoria funeraria. Sviluppatasi nell’epoca vittoriana e caduta in disuso negli anni ’40 del Novecento, questa pratica nasceva dall’esigenza di conservare l’immagine di persone che spesso non avevano mai potuto permettersi un ritratto in vita. Con l’avvento della dagherrotipia nel 1839, la gente iniziò a farsi fotografare assieme ai defunti per avere un ricordo indelebile di essi.
La pratica del memento mori fotografico rivela una costante antropologica: la necessità di trattenere una traccia del defunto attraverso la mediazione tecnologica. Ogni epoca ha cercato di conservare la memoria dei propri morti, ma l’innovazione vittoriana consisteva nel rendere accessibile alla classe media quella che prima era prerogativa aristocratica. La fotografia post mortem si diffonde in epoca vittoriana, in città come Londra dove il tasso di mortalità infantile era molto alto. I genitori, non avendo alcun ricordo dei neonati perduti, si rivolgevano a questa pratica per conservarne l’immagine.
2.2 Registrazioni spiritiche e medium tecnologici
Parallelamente alla fotografia post-mortem, la fine dell’Ottocento vede emergere tentativi di catturare la “voce” dei morti attraverso registrazioni spiritiche. L’invenzione del fonografo di Edison (1877) apre nuove possibilità nella conservazione della presenza vocale, mentre le séances spiritiche incorporano progressivamente strumenti tecnologici per mediare la comunicazione con i defunti.
Questa fase storica è cruciale perché introduce un elemento di interattività che sarà centrale nelle tecnologie contemporanee: non si tratta più solo di conservare l’immagine del morto, ma di stabilire un canale comunicativo. Il medium spirituale diventa, in questo senso, un prototipo dell’interfaccia digitale contemporanea.
2.3 Oggetti sostitutivi e feticizzazione della memoria
La tradizione delle reliquie, delle maschere funerarie e degli oggetti commemorativi attraversa trasversalmente tutte le culture umane. Dal punto di vista antropologico, questi oggetti funzionano come “feticci” nel senso tecnico del termine: supporti materiali che permettono di mantenere una relazione con l’assente attraverso la mediazione di un sostituto simbolico.
Marcel Mauss, nella sua analisi del dono, evidenzia come gli oggetti possano essere “caricati” di presenza sociale e diventare mediatori di relazioni che trascendono la morte fisica. Questa dimensione relazionale degli oggetti commemorativi costituisce il precedente antropologico delle interfacce digitali contemporanee.
3. Dalla presenza all’interazione: la svolta digitale
3.1 Il panorama dei servizi di “resurrezione digitale”
Il mercato contemporaneo degli avatar digitali dei defunti presenta una tipologia diversificata di servizi e approcci tecnologici. Tra i più recenti ci sono Project December e HereAfter, che mediante un abbonamento mensile garantiscono di poter mantenere vivo digitalmente un caro estinto. Si tratta di particolari chatbot che permettono di simulare conversazioni con la versione digitale di una persona cara defunta, basati su software di intelligenza artificiale che fanno uso di modelli linguistici di grandi dimensioni.
La leadership tecnologica in questo settore è attualmente appannaggio delle aziende cinesi. La startup “SuperBrain” chiede ai clienti foto, vocali e video per catturare la voce e le espressioni facciali della persona scomparsa. Con tutti questi elementi viene creato un avatar digitale. Tra i 5.000 (700 dollari) e i 10.000 yuan si accede a servizi noti anche come “bot fantasma”.
3.2 Tipologie di replicazione: dalla simulazione testuale all’ologramma conversazionale
La gamma di tecnologie disponibili per la replica digitale si articola lungo un continuum crescente di realismo:
Simulazione testuale: chatbot basati su large language models addestrati sui testi scritti dal defunto (messaggi, email, post sui social media). Rappresenta il livello più semplice di replica, limitato alla dimensione linguistica.
Simulazione vocale: attraverso tecnologie di voice cloning, si riproducono le caratteristiche timbriche e prosodiche della voce del defunto. Aggiunge una dimensione sonora che aumenta significativamente l’effetto di presenza.
Simulazione visiva: utilizzo di deepfake e avatar animati per ricreare le espressioni facciali e la gestualità del defunto. L’offerta di prodotti varia da semplici clip audio e video fino a simulazioni più complesse.
Simulazione olografica: rappresenta il livello più avanzato, dove l’avatar digitale viene proiettato in forma tridimensionale per interazioni quasi-fisiche.
3.3 La spettacolarizzazione del dolore: casi di studio
Un caso emblematico è rappresentato dal programma televisivo sudcoreano “Meeting You” (MBC, 2020), dove una madre ha incontrato la figlia morta attraverso un avatar in realtà virtuale. L’evento, trasmesso in diretta televisiva, rappresenta un esempio di come la tecnologia della resurrezione digitale possa trasformarsi in spettacolo mediatico, sollevando interrogativi etici sulla strumentalizzazione del dolore.
Il caso di Sun Kai, che una volta alla settimana ha una videochiamata con sua madre attraverso un avatar digitale, descrive un utilizzo regolare di queste tecnologie per conversare con la genitrice defunta. Questi esempi mostrano come la tecnologia stia effettivamente modificando i comportamenti di elaborazione del lutto.
4. Antropologia della replica e del feticcio digitale
4.1 Il feticcio come mediatore di presenza
L’analisi antropologica degli avatar digitali dei defunti non può prescindere dalla teoria del feticcio come oggetto relazionale. Marcel Mauss, nella sua riflessione sul dono, evidenzia come gli oggetti possano essere “animati” da relazioni sociali e diventare mediatori di presenza sociale. Michael Taussig, in “Mimesis and Alterity”, estende questa analisi mostrando come la capacità mimetica degli oggetti permetta loro di partecipare alla vita sociale dell’assente.
L’avatar digitale si configura come un “feticcio tecnologico” che eredita e trasforma queste funzioni tradizionali. A differenza degli oggetti commemorativi classici, tuttavia, l’avatar non si limita a rappresentare il defunto, ma simula attivamente la sua presenza attraverso l’interazione.
4.2 Dalla materialità alla simulazione: trasformazioni del corpo commemorativo
Il passaggio dal corpo materiale all’interfaccia digitale rappresenta una trasformazione qualitativa nella fenomenologia del lutto. Mentre mummie, reliquie e maschere funerarie mantenevano una connessione fisica con il defunto, l’avatar digitale opera una completa dematerializzazione, sostituendo il corpo con un algoritmo.
Questa transizione solleva questioni ontologiche fondamentali: cosa rimane della persona quando viene tradotta in codice informatico? L’avatar digitale conserva qualcosa di essenziale del defunto o costituisce semplicemente una simulazione sofisticata?
4.3 La duplicazione come gesto apotropaico
Dal punto di vista antropologico, la creazione di avatar digitali dei defunti può essere interpretata come un gesto apotropaico: un tentativo di esorcizzare l’assenza assoluta attraverso la produzione di un sostituto interattivo. La duplicazione tecnologica diventa così una forma di diniego della morte, un rifiuto di accettare la separazione definitiva.
5. Psicologia ed etica della simulazione del lutto
5.1 Il lutto patologico nell’era digitale
La ricerca psicologica contemporanea ha identificato il “lutto complicato” o “lutto prolungato” come una condizione patologica caratterizzata dall’incapacità di elaborare la perdita. Gli psicologi dell’Università di Cambridge, Tomasz Hollanek e Katarzyna Nowaczyk-Basińska, sostengono che tenere in vita digitalmente i nostri cari defunti può interferire con i processi naturali di elaborazione del lutto.
Il DSM-5 e l’ICD-11 riconoscono il “Disturbo da Lutto Prolungato” come una condizione clinica specifica. Gli avatar digitali dei defunti rischiano di perpetuare indefinitamente la fase di negazione del lutto, impedendo il passaggio alle fasi successive di elaborazione.
5.2 L’eternal loop: quando il morto “risponde”
La caratteristica più problematica degli avatar digitali è la loro capacità di “rispondere” alle domande dei familiari. Il caso di Angel, che ha utilizzato un chatbot AI noto come Project December per “comunicare” con un parente defunto, illustra questa dinamica. La risposta del chatbot alla domanda “Dove sei?” è stata un esempio di come queste tecnologie possano creare un “eternal loop” dove il processo di elaborazione del lutto viene indefinitamente rinviato.
Se il morto “risponde”, può davvero essere considerato morto? Questa ambiguità ontologica crea una zona grigia psicologica che può compromettere la capacità di accettare la perdita e riorganizzare la propria vita senza il defunto.
5.3 Questioni etiche: consenso postumo e identità replicata
La replica digitale dei defunti solleva complesse questioni etiche:
Consenso postumo: chi ha il diritto di decidere se una persona può essere “rianimata” digitalmente dopo la morte? Il consenso del defunto è necessario o è sufficiente quello dei familiari?
Identità replicata: l’avatar digitale rappresenta davvero il defunto o costituisce una forma di appropriazione indebita della sua identità?
Commercializzazione dell’intimità: la monetizzazione del dolore attraverso servizi a pagamento trasforma l’elaborazione del lutto in una commodity, alterando la natura dell’esperienza di perdita.
Manipolazione algoritmica: cosa accade quando l’algoritmo “fa dire” al defunto cose che non avrebbe mai detto in vita?
6. Conclusioni: memoria o ripetizione?
6.1 La tecnologia tra elaborazione ed elusione
L’analisi condotta rivela un paradosso fondamentale delle tecnologie contemporanee di replica digitale dei defunti. Mentre promettono di preservare e onorare la memoria dei morti, rischiano di trasformare l’elaborazione del lutto in una forma di elusione tecnologicamente mediata. La differenza cruciale rispetto alle tecnologie storiche del lutto risiede nel passaggio dalla conservazione statica alla riattivazione dinamica: l’avatar non si limita a rappresentare il defunto, ma simula attivamente la sua presenza.
Questa trasformazione problematizza i meccanismi tradizionali di elaborazione della perdita, che richiedono l’accettazione graduale dell’assenza. Gli avatar digitali creano invece un’ambiguità ontologica che può impedire questa accettazione, intrappolando i familiari in un “eternal loop” di negazione della morte.
6.2 Domande aperte per la ricerca futura
La ricerca futura dovrà affrontare alcune questioni fondamentali:
Ontologia della simulazione: Possiamo davvero simulare una persona o solo le sue tracce digitali? Qual è la relazione tra l’avatar e l’identità del defunto?
Etica della rianimazione: Chi ha il diritto di far “parlare” un morto? Come bilanciare i bisogni dei familiari con il rispetto per l’autonomia del defunto?
Efficacia terapeutica: Il conforto digitale costituisce una forma di terapia o di intrattenimento? Quali sono i criteri per distinguere tra uso costruttivo e uso patologico di queste tecnologie?
Regolamentazione: Come regolare un settore che opera nell’intersezione tra tecnologia, psicologia e spiritualità?
6.3 Verso un’etica della memoria digitale
La sfida per il futuro non è tanto quella di respingere o abbracciare acriticamente queste tecnologie, quanto piuttosto di sviluppare un’etica della memoria digitale che sappia distinguere tra usi costruttivi e distruttivi della replica tecnologica. È necessario un approccio multidisciplinare che coinvolga antropologi, psicologi, tecnologi ed etici per definire linee guida che proteggano sia i diritti dei defunti che il benessere dei familiari.
Il problema non è la tecnologia in sé, ma il significato e l’uso che le società decidono di attribuirle. La memoria digitale può essere un strumento di elaborazione del lutto se utilizzata consapevolmente, ma rischia di diventare una forma di diniego tecnologico se non viene adeguatamente regolamentata e compresa.
Bibliografia
Letteratura antropologica:
- Mauss, Marcel. Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés archaïques
- Taussig, Michael. Mimesis and Alterity. A Particular History of the Senses
- Hertz, Robert. Contribution à une étude sur la représentation collective de la mort
Letteratura psicologica:
- Hollanek, Tomasz & Nowaczyk-Basińska, Katarzyna. “Chatbots and the Domestication of AI Death” in Philosophy & Technology
- Worden, J. William. Grief Counseling and Grief Therapy. A Handbook for the Mental Health Practitioner
- Klass, Dennis et al. Continuing Bonds. New Understandings of Grief
Letteratura tecnologica:
- Davison, Patrick. “The Language of Internet Memes” in The Social Media Reader
- Turkle, Sherry. Alone Together. Why We Expect More from Technology and Less from Each Other
- Floridi, Luciano. The Fourth Revolution. How the Infosphere is Reshaping Human Reality
Appendice: Glossario tecnico
Avatar digitale: Rappresentazione virtuale di una persona che può interagire attraverso intelligenza artificiale, riproducendo aspetto, voce e pattern comportamentali.
Chatbot commemorativo: Sistema di intelligenza artificiale addestrato sui dati digitali di una persona defunta per simulare conversazioni.
Deepfake commemorativo: Tecnologia che utilizza l’intelligenza artificiale per creare video realistici di persone defunte.
Feticcio tecnologico: Oggetto digitale che media la relazione con una persona assente, ereditando le funzioni tradizionali degli oggetti commemorativi.
Lutto complicato: Condizione psicopatologica caratterizzata dall’incapacità di elaborare una perdita, riconosciuta dal DSM-5 e dall’ICD-11.
Memento mori: Locuzione latina che significa “ricordati che devi morire”, utilizzata per indicare rappresentazioni artistiche che richiamano la mortalità.
Necro-capitalismo digitale: Sistema economico che monetizza la morte attraverso servizi tecnologici di replica digitale dei defunti.
Simulazione conversazionale: Capacità di un sistema di intelligenza artificiale di riprodurre gli schemi linguistici e comunicativi di una persona specifica.
Le riflessioni esposte nascono come esito collaterale delle ricerche svolte per il mio romanzo Il Viaggio della Matta (attualmente in stesura), un’opera narrativa che affronta in chiave allegorica molti dei temi trattati. Per quanto articolati, gli articoli del blog rappresentano già una forma di sintesi e semplificazione, che meriterebbe, altrove, uno sviluppo saggistico più ampio.