L’Immersione nella Ricerca
La ricerca è, senza dubbio, la fase che preferisco in ogni mio progetto artistico. È il momento in cui mi immergo senza limiti di tempo, perché so che è qui che avviene il vero cambiamento. C’è una me prima e una me dopo la ricerca: è un passaggio che arricchisce il mio pensiero, lo trasforma, mi costringe a creare nuove connessioni.

Non è solo una fase preparatoria, ma un’esperienza a sé, una scoperta continua che mi porta in luoghi inaspettati. Proprio per questo, ho imparato a mettere dei paletti, a tracciare confini chiari, per evitare di perdermi nel mare infinito di collegamenti ipertestuali e informazioni secondarie. Ogni ricerca potrebbe espandersi all’infinito, ma parte del processo è anche saper scegliere la direzione, mantenere il focus senza lasciarsi trascinare.
L’Accesso agli Archivi Storici: Tra Ostacoli e Digitalizzazione Incompleta
Per questo progetto ho studiato tanto materiale storico. Non si parla mai abbastanza di quanto sia difficile navigare negli archivi digitali. Apprezzo chi si è occupato dell’archiviazione ottica e ha reso alcuni documenti disponibili – spesso frutto di progetti indipendenti e no-profit – ma pare sempre che il processo di digitalizzazione si fermi sul più bello.
I motori di ricerca interni sono obsoleti, i siti istituzionali sembrano fermi al secolo scorso. Questo, però, è solo un trascurabile sfogo personale.
L’Impatto della Documentazione sui Personaggi e sulla Trama


Nelle prime fasi di ricerca, le cartelle cliniche degli internati mi hanno tormentata. A ottobre ero così sconvolta da abbandonare definitivamente la fantascienza per una svolta più cruda, seppur immersa in un’estetica surreale.
All’inizio, tra i personaggi principali c’erano:
• Un omosessuale denunciato dal padre come “invertito”.
• Un mago con amici potenti che “spariva” grazie a una donazione alla struttura.
• Un epilettico cresciuto in manicomio, che conservava la crudele ingenuità di un bambino.
• Un’inventrice intossicata dal piombo, che vedeva tutti come automi in manutenzione.
Persone bizzarre, ma internate senza giusta causa. Mentre progettavo queste storie cercavo di non cadere in stereotipi e banalizzazioni. Era la fase iniziale del character design: valutavo i bisogni, le motivazioni, i conflitti e i simbolismi. Erano giorni in cui qualsiasi cosa costruissi, la ricerca la demoliva.


I manicomi avevano una suddivisione in reparti molto rigida: persone di sesso, estrazione sociale e stato di salute diversi non avrebbero mai condiviso lo stesso spazio.
Anche nel personale medico avevo immaginato conflitti:
• Uno psichiatra senior, sostenitore del regime.
• Uno psichiatra junior, con un contatto epistolare con il suo mentore in Germania.
Qui ho mappato pubblicazioni e conferenze, per giustificare il modo in cui alcune informazioni arrivassero al giovane psichiatra. Più leggevo testimonianze reali, più depennavo anche le dinamiche tra i medici. Mi rendevo conto che nella realtà nessuno si preoccupava davvero dello stato di salute degli internati. Perfino chi cercava soluzioni applicava metodi agghiaccianti. In qualche raro caso, le infermiere erano le uniche a provare empatia verso le internate.
I Manicomi Come Discariche Umane: Il Crollo delle Illusioni
La discrepanza tra gli apparati progressisti della psichiatria ufficiale e le reali condizioni dei pazienti era abissale. Questa è stata la fase più dolorosa del progetto.
I manicomi non sono mai stati luoghi di cura, ma discariche di vite scomode, posti di degrado e abbandono, senza via di fuga se non la morte. Avevo ben chiaro l’orrore dello scenario scelto, ma più mi ci immergevo, più sentivo di dovermi sforzare per immaginare personaggi e dinamiche.


Mantenere un equilibrio tra realtà e fantasia è difficile quando la storia è più assurda di un B-movie.
Dopo essermi abbattuta come solo io so fare, ho ripreso la ricerca con più rigore. Dovevo proseguire, per rispetto di quelle vite di cui ormai sapevo troppo.
La Svolta
Il punto di svolta nella mia ricerca è arrivato quando ho approfondito il rapporto tra Eusapia Palladino e Cesare Lombroso, una connessione che incarna perfettamente il confine ambiguo tra esoterismo e scienza.
Lombroso, il padre dell’antropologia criminale, inizialmente scettico, finì per diventare uno dei più accesi sostenitori della medium, convincendosi che i fenomeni paranormali da lei prodotti fossero reali.
Non si trattava solo di una curiosità storica, ma di un esempio lampante di come la scienza possa essere contaminata da credenze e aspettative, piegandosi alla narrazione dominante del proprio tempo. Se anche un luminare come Lombroso poteva cadere nell’illusione, cosa dice questo della fragilità del metodo scientifico? E, ancora più inquietante, della sua capacità di legittimare idee fallaci?
• Testimonianza diretta del rapporto tra scienza ed esoterismo a fine ‘800, utile per comprendere la fragilità del metodo scientifico quando è contaminato da pregiudizi culturali.
In questa fase non avevo ancora scelto lo strumento narrativo. So che può sembrare strano, le settimane passavano e non sapevo a cosa stessi lavorando, ma avevo un’ottima base su cui iniziare a rifletterci.
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