
Nel 1912, l’attore Lewis Sydney inventò un oggetto assurdo: il Follyphone. Non suonava, non serviva, ma imitava gli strumenti elettronici emergenti per prendersene gioco. Un gesto artistico e satirico che anticipa la critica contemporanea alla tecnologia come spettacolo.
Il Follyphone di Lewis Sydney (1912): anatomia di una parodia meccanica
Nel 1912, l’attore e autore teatrale britannico Lewis Sydney presenta al pubblico uno strano marchingegno chiamato Follyphone. Non si tratta di uno strumento musicale, almeno non in senso convenzionale. Nessuna partitura lo prevede, nessun suono ne esce davvero. Eppure il Follyphone è reale, visibile nelle fotografie d’epoca: un insieme improbabile di tubi, trombe, leve e tasti disposti con minuziosa teatralità. È un oggetto senza funzione, costruito per deridere – in modo tanto ironico quanto profondo – l’entusiasmo crescente verso i nuovi strumenti sonori elettronici.
Contesto storico: la febbre della macchina
Siamo all’alba del XX secolo. L’elettricità promette rivoluzioni, il fonografo di Edison è ormai domestico, e strumenti come il Telharmonium, l’intonarumori futurista di Russolo (1913) e il Theremin (inventato qualche anno dopo, nel 1920) cominciano a ridisegnare il paesaggio sonoro. Ma dove molti vedono progresso, altri avvertono un cortocircuito tra innovazione e senso.
Sydney, artista brillante ma scettico verso le mode tecnofile, crea il Follyphone come “strumento fittizio”. L’intento? Svelare l’assurdo nascosto dietro l’adorazione cieca della novità tecnica. Il nome stesso è eloquente: “folly” in inglese significa “follia”, ma anche “stravaganza”, “errore ridicolo”.
Un’anti-macchina per pensare le macchine
Il Follyphone, come molti dispositivi satirici, finge di essere quello che non è. Imita la forma degli strumenti sperimentali, ma ne svuota la funzione. È una messa in scena dell’inutilità, che prende in giro l’ossessione per l’“avanguardia” come feticcio più che come pratica consapevole.
A vederlo oggi, potremmo pensare a un oggetto steampunk, o a una scultura dadaista ante litteram. Ma è anche, in modo più sottile, un pezzo di critica culturale: un invito a distinguere tra invenzione e narcisismo tecnologico, tra suono e rumore, tra pensiero e moda.
Risonanze contemporanee
La lezione del Follyphone resta sorprendentemente attuale. In un presente saturo di gadget e interfacce dal design accattivante ma spesso effimero, l’opera di Sydney funziona come una macchina critica del desiderio. Ci ricorda che non tutto ciò che ha forma merita una funzione, e che l’entusiasmo per la “nuova tecnologia” deve essere temperato da un pensiero sulla sua necessità e sul suo impatto.