Perché la questione palestinese riguarda l’Italia
un’analisi dei rischi economici, tecnologici e democratici
Questo articolo documenta come e perché la Palestina non sia “una questione loro” ma “una questione nostra”, con ricadute quotidiane anche quando non ce ne accorgiamo.
Introduzione: oltre la solidarietà, una questione di interesse nazionale
La questione palestinese viene spesso percepita come un conflitto lontano, una tragedia mediorientale che ci tocca solo marginalmente attraverso le notizie serali. Nulla di più sbagliato e pericoloso. L’Italia è profondamente e strutturalmente coinvolta in questo conflitto attraverso dimensioni economiche, militari, culturali, energetiche e soprattutto tecnologiche che hanno implicazioni dirette sulla nostra sicurezza nazionale, sulla tenuta democratica e sull’identità del Paese.
1. La dimensione economica: cinque miliardi di dipendenze
Gli scambi commerciali
Nel 2023, l’interscambio Italia-Israele è stato nell’ordine dei 5 miliardi di euro, un valore comparabile a quello con economie come Argentina o Vietnam. Non briciole: una fetta concreta del nostro export/import.
In parallelo, l’Italia finanzia programmi di cooperazione a favore dell’Autorità Nazionale Palestinese. Il paradosso è evidente: sosteniamo progetti civili palestinesi mentre intratteniamo rapporti commerciali intensi con chi esercita un’occupazione militare e tecnologica sui medesimi territori.
Il paradosso operativo
Ci troviamo nella posizione assurda di:
- pagare per ricostruire scuole e infrastrutture palestinesi
- commerciare tecnologie e sistemi potenzialmente impiegabili per distruggerle
- importare soluzioni e apparati venduti come “battle-tested”
Non è solo una questione etica: è economicamente controproducente. Ogni euro di cooperazione rischia di essere eroso da un conflitto che anche i nostri flussi commerciali possono alimentare.
I progetti infrastrutturali: il nodo energetico
Il gasdotto EastMed è pensato per convogliare gas offshore israeliano-cipriota verso l’Europa con approdo in Puglia. Più che parlare di “acque contese” sul giacimento Leviathan (offshore israelo-cipriota), qui il punto cruciale è un altro: l’Italia rischia una dipendenza strutturale da forniture legate a un teatro altamente instabile, mentre resta irrisolto il tema dei diritti palestinesi sulle risorse marittime al largo di Gaza (Gaza Marine). Sicurezza energetica su fondamenta politiche fragili.
Negli ultimi anni sono cresciuti anche i programmi congiunti di ricerca industriale (accordo bilaterale in vigore dal 2002) nei settori hi-tech, IA, biomedicina, agri-tech, cybersecurity ed energie rinnovabili. Settori critici per la nostra economia e, guarda caso, gli stessi in cui l’occupazione funge da banco di prova.
2. Coinvolgimento militare-industriale: Leonardo e la complicità strutturale
I numeri dell’export (e come leggerli)
Nel 2024 l’Italia ha esportato verso Israele merci classificate a tariffa doganale come “armi e munizioni” per qualche milione di euro; più consistente è stato il flusso in entrata dall’industria israeliana (nell’ordine delle decine/centinaia di milioni). Attenzione: qui si parla di dati ISTAT per categorie merceologiche, non di licenze rilasciate ai sensi della legge 185/1990. La distinzione conta, e molto.
Leonardo S.p.A.: il cuore della filiera
Leonardo (già Finmeccanica) è tra i primi dieci player mondiali della difesa. La quota pubblica (MEF) è circa 30%, il resto è in larga parte presso investitori istituzionali. La prevalenza dei ricavi proviene da Difesa/Sicurezza, con clientela in grandissima parte governativa.
I contratti e le partnership
Nel quadro di accordi governativi, nel tempo sono stati firmati contratti rilevanti attraverso Alenia Aermacchi, Telespazio e Selex. Non operazioni spot: partnership tecnologiche che intrecciano supply chain, formazione e supporto.
DRS–RADA: integrazione con Israele
Il 21 giugno 2022 Leonardo DRS ha annunciato la fusione con l’israeliana RADA Electronic Industries (radar tattici; operazione completata a novembre 2022). Risultato: una presenza diretta nel tessuto tecnologico israeliano via DRS. Nota bene: RADA fornisce radar utilizzabili anche in sistemi di protezione attiva; il sistema Trophy APS è di Rafael.
M-346: cosa è certo e cosa no
Israele ha ricevuto 30 M-346 “Lavi” (2014–2016). L’aereo nasce addestratore avanzato; esiste una variante M-346FA multiruolo armata. È quindi corretto parlare di filiera formativa/tecnologica italiana funzionale alla proiezione bellica israeliana. Non è invece dimostrabile con fonti operative pubbliche che i “Lavi” addestratori siano stati impiegati come bombardieri su Gaza: tieniamo il focus su fornitura, supporto e capacità della piattaforma.
Il rifiuto del Vaticano
Nel gennaio 2024 l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha rifiutato una donazione di 1,5 milioni da Leonardo, giudicandola inopportuna “in questo periodo di guerre”. Il fatto parla da sé; non serve retorica.
Legalità e 185/1990: precisione, per favore
La legge 185/1990 vieta l’esportazione di armamenti verso paesi in conflitto armato e/o responsabili di gravi violazioni, salvo specifiche eccezioni e classificazioni. Gran parte dei numeri citati in stampa derivano da voci doganali ISTAT, che non equivalgono automaticamente a licenze 185/1990. La sostanza resta: c’è uno scarto tra annunci politici e continuità delle filiere. Ma va detto bene.
3. Cooperazione culturale: un ponte sotto assedio
L’iniziativa IUPALS (CRUI/MAECI) mette a disposizione circa 140 borse per studenti residenti nei Territori palestinesi. È una delle parti più coerenti della nostra politica.
In parallelo, diversi atenei italiani (da nord a sud) hanno deliberato sospensioni/valutazioni di sospensione di accordi con istituzioni israeliane dopo le mobilitazioni studentesche del 2024. È un fenomeno strutturato, non folkloristico.
Il problema è la coerenza di sistema: borse e scambi accademici valgono meno se, altrove, la filiera tecnologico-militare corre in senso opposto. Altrimenti è ipocrisia istituzionalizzata.
4. “Israeli Colony in Salento”: il colonialismo sbarca nel linguaggio
Orit Lev Marom, imprenditrice immobiliare (Coral 37), ha promosso il progetto “Israeli Colony in Salento” definendo il Salento “nuova terra promessa”. Esistono iniziative simili in Sardegna e in Piemonte (Valsesia).
Qui non si contesta la legittimità degli acquisti privati, ma il linguaggio: “colonia” è lo stesso lessico degli insediamenti illegali in Cisgiordania. Normalizzare quella retorica in Italia erode la credibilità di ogni nostra presa di posizione contro il colonialismo altrove. È un precedente culturale, non una questione notarile.
5. La questione tecnocratica: la Palestina come laboratorio
Red Wolf e Blue Wolf
Red Wolf (riconoscimento facciale ai checkpoint di Hebron) automatizza la discriminazione; Blue Wolf ha gamificato la raccolta biometrica con classifiche interne. Non “sicurezza neutrale”: architettura di segregazione.
Mabat 2000
A Gerusalemme Est, la rete Mabat 2000 ha saturato la Città Vecchia di CCTV, con effetti psicologici misurabili sui residenti palestinesi.
Pegasus
Lo spyware Pegasus (NSO) ha colpito difensori dei diritti umani palestinesi nel 2021 secondo Citizen Lab e Amnesty. Non “terroristi”: avvocati, ricercatori, attivisti.
Project Nimbus
Nel 2021 Google e Amazon hanno firmato Project Nimbus (≈1,2 mld $) per servizi cloud e strumenti di IA a ministeri e agenzie israeliane. Proteste interne, licenziamenti, contratto in essere. Tecnologia al servizio della governance dell’occupazione.
Il modello “battle-tested”
Come mostra Antony Loewenstein, l’occupazione funge da campo di prova: test operativo su popolazioni civili, perfezionamento, branding “battle-tested”, quindi esportazione globale. Un’economia politica della sorveglianza.
6. Italia: importazione silenziosa del modello di controllo
Il contratto
Cognyte
Nel 2024 è emersa la commessa da circa 1,4 milioni tra MEF e l’israeliana Cognyte per servizi di analisi investigativa/intelligence. Il punto non è gridare alla “sorveglianza fiscale massiva” come fatto compiuto, ma la deriva di policy: esternalizzare capacità analitiche sensibili a fornitori con track record nel controllo popolare solleva problemi di proporzionalità, governance dei dati e accountability.
Videosorveglianza “intelligente”
Soluzioni di video-analytics di origine israeliana compaiono in eventi e contesti urbani, con funzioni di riconoscimento facciale, tracciamento e rilevamento “anomalo”. Oggi sono “per la sicurezza”; domani rischiano di diventare infrastruttura di controllo del dissenso.
Spyware e regolazione
Il mercato italiano di spyware/monitoraggio è stato a lungo favorito da costi contenuti e vuoti regolatori. Più corretto dire che l’Italia è uno dei mercati europei attivi con regole in evoluzione, non “hub mondiale”. La sostanza non cambia: il rischio per diritti e garanzie è reale.
Cybersecurity: dipendenza tecnologica
Nel settore finanziario la spesa in cybersecurity è cresciuta. Molte soluzioni arrivano da vendor israeliani. Tecnologicamente efficaci, politicamente sensibili: backdoor e lock-in sono rischi non teorici. Strategicamente, legarsi a un Paese sotto procedimenti internazionali apre vulnerabilità tecniche, diplomatiche e reputazionali.
7. Impunità e crollo dell’ordine internazionale
“Decine di risoluzioni” ONU disattese
Nel corso dei decenni, decine di risoluzioni dell’ONU su colonie e uso della forza sono state ignorate. Il messaggio che passa è devastante: il diritto internazionale vale a geometria variabile.
La CPI
La Corte penale internazionale ha emesso (novembre 2024) mandati di arresto per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant per crimini di guerra e contro l’umanità, inclusa l’utilizzazione della fame come metodo di guerra. Nel 2025 i mandati risultano attivi mentre prosegue il contenzioso giurisdizionale. È un test di tenuta per la giustizia internazionale.
L’effetto domino
Se un alleato occidentale può eludere regole, perché non dovrebbero farlo attori regionali o potenze rivali? L’erosione normativa alimenta radicalizzazione, disperazione e sfiducia nelle istituzioni multilaterali. Non è un problema “loro”: è un acceleratore di instabilità globale.
8. Rischi concreti per l’Italia
Democrazia
Riconoscimento facciale di massa, raccolte biometriche pervasive e spyware non sono neutrali. Chi controlla i dati controlla le persone. Importare tecnologie progettate per governare popolazioni “ostili” significa predisporre architetture che possono migrare verso il controllo del dissenso interno.
Sicurezza nazionale
- Tecnica: dipendenze da software/hardware esteri con possibili backdoor.
- Strategica: lock-in verso un partner in crescente isolamento.
- Etica: modelli di segregazione tecnologica incompatibili con la Costituzione.
- Geopolitica: ritorsioni e perdita di margini nel Mediterraneo allargato.
Economia e reputazione
- Investimenti in cooperazione erosi dal conflitto perenne.
- EastMed come dipendenza da forniture legate a un contesto instabile e a diritti marittimi palestinesi irrisolti.
- Rischio reputazionale per aziende coinvolte in filiere critiche (boicottaggi, contenziosi).
Credibilità internazionale
Non si può mediare se si è percepiti come parte della filiera. Il ponte mediterraneo crolla se è costruito su doppie morali.
9. La posta in gioco
L’Italia è una media potenza: vive di regole più che di muscoli. L’impunità israeliana mina l’intero regime di norme che ci protegge. Le tecnologie testate in Palestina sono già nelle nostre città: confini, piazze, scuole, università, manifestazioni.
Gli strumenti per invertire la rotta esistono:
- Embargo sulle armi (185/1990) coerente e trasparente
- Sospensione degli accordi UE-Israele in caso di violazioni gravi
- Sanzioni mirate e disinvestimento
- Riconoscimento dello Stato di Palestina
- Applicazione dei mandati CPI
Manca la volontà politica. Che si costruisce solo con pressione pubblica informata.
Conclusioni: una scelta di civiltà
La questione palestinese ci riguarda perché:
- Siamo economicamente coinvolti (≈5 mld € di interscambio, cooperazione, energia).
- Siamo dentro filiere militari e tecnologiche con Israele.
- Importiamo strumenti di controllo testati su popolazioni civili (face recognition, spyware, video-analytics).
- Creiamo dipendenze strategiche in cybersecurity, difesa, energia.
- Perdiamo credibilità internazionale per incoerenza tra valori e pratiche.
- Stiamo allineando il nostro modello di sicurezza a logiche incompatibili con la democrazia.
- Assistiamo all’erosione dell’ordine internazionale che ci tutela.
- Normalizziamo in casa nostra retoriche colonizzatrici.
- Ignoriamo una domanda di coerenza che arriva con forza dalle nuove generazioni.
- Tradiremmo i nostri valori costituzionali e mediterranei se continuassimo così.
Difendere i diritti dei palestinesi non è carità: è autodifesa dell’ordine delle regole, della nostra democrazia e della nostra sicurezza futura.
La scelta è nostra. E ogni rinvio è già una decisione.
Fonti e riferimenti essenziali
- Amnesty International (2023), Automated Apartheid (Red/Blue Wolf); comunicati e briefing correlati.
- Citizen Lab & Amnesty (2021), analisi tecnica su Pegasus.
- The Guardian / Wired (2021-2024), inchieste su Project Nimbus.
- ICC/CPI (2024-2025), atti e comunicati sui mandati a carico di Netanyahu/Gallant.
- ISTAT/ICE/MAECI, dati interscambio Italia-Israele 2023.
- Altreconomia (2024-2025), analisi su flussi “armi e munizioni” (dati ISTAT) e supporto M-346.
- Leonardo (bilanci e investor presentations); comunicati su DRS–RADA (2022).
- Dossier e rassegne stampa sul caso “Israeli Colony in Salento”.
- Analisi su EastMed e quadro Gaza Marine (diritti marittimi palestinesi).
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