La Memoria Digitale nell’Era del Controllo
La morte del giornalista palestinese Saleh al-Jafarawi è stata seguita dalla cancellazione del suo account Instagram: 4,5 milioni di follower e anni di documentazione spariti con un click. Chi decide cosa merita di essere ricordato nell’era digitale? Una riflessione sulla fragilità della memoria online e sulle forme creative di resistenza alla censura.
Quando cancellare un account significa uccidere due volte
Il 12 ottobre 2025, il giornalista palestinese Saleh al-Jafarawi veniva ucciso a Gaza mentre documentava gli scontri nel quartiere di Sabra. Aveva 27 anni e milioni di persone in tutto il mondo seguivano il suo lavoro su Instagram, dove testimoniava quotidianamente la devastazione, la resilienza e la vita sotto assedio. Due giorni dopo, Meta rimuoveva definitivamente il suo account, cancellando con un click 4,5 milioni di follower e due anni di documentazione fotografica e video. Il 14 ottobre 2025, Francesca Albanese, relatrice speciale ONU per i territori palestinesi occupati, commentava l’accaduto su Twitter: “Deleting a killed journalist’s account is to kill them twice” (Cancellare l’account di un giornalista ucciso significa ucciderlo una seconda volta).
Ma questa cancellazione è andata oltre: anche le versioni archiviate della sua pagina sulla Wayback Machine, il più grande archivio pubblico di Internet, sembrano essere state disabilitate. Non solo la voce di al-Jafarawi è stata silenziata, ma la sua stessa esistenza digitale è stata sistematicamente rimossa dalla memoria collettiva del web. Questo atto solleva una domanda cruciale e scomoda: chi detiene davvero il potere sulla nostra memoria collettiva nell’era digitale?
Il paradosso della permanenza digitale
Viviamo in un’epoca di apparente immortalità digitale. Ogni foto, ogni post, ogni frammento di pensiero che condividiamo online sembra destinato a rimanere per sempre, inciso nell’etere digitale. Eppure, questa permanenza è un’illusione fragile, costruita su fondamenta private e controllate da poche corporazioni che decidono cosa merita di essere ricordato e cosa può essere cancellato.
Il caso di al-Jafarawi non è isolato. Meta ha già sospeso i suoi account in marzo 2025, costringendolo a usare profili di backup. Altri giornalisti palestinesi come Bisan Owda, Hind Khoudary e Moataz Azaiza hanno subito censure simili, con account sospesi o contenuti soppressi mentre documentavano eventi cruciali. Secondo il Centro Arabo per l’Avanzamento dei Media Sociali (7amleh), le politiche di censura sistematica di Meta hanno causato perdite finanziarie, stress emotivo e auto-censura tra i creatori di contenuti palestinesi.
Questo fenomeno rivela una verità inquietante: la nostra memoria collettiva è diventata proprietà privata. Le testimonianze di eventi storici, le prove di crimini, le voci di chi documenta l’indicibile possono essere cancellate con la stessa facilità con cui si elimina spam o contenuti inappropriati. E quando queste cancellazioni avvengono, raramente c’è un’effettiva possibilità di appello o ricorso.
Il potere di chi controlla le piattaforme
Le piattaforme digitali come Meta, Google, Twitter e altre non sono semplici spazi neutri per la condivisione di informazioni. Sono infrastrutture di potere che mediano la nostra realtà, filtrano le nostre percezioni e decidono quali narrazioni possono circolare e quali devono essere soffocate. Le loro politiche di moderazione, spesso opache e applicate in modo inconsistente, possono essere strumenti di controllo geopolitico tanto potenti quanto la censura statale tradizionale.
Nel contesto del conflitto israelo-palestinese, organizzazioni come Human Rights Watch hanno documentato che Meta ha sistematicamente censurato voci palestinesi, rimuovendo contenuti che documentavano violazioni dei diritti umani, mentre permetteva contenuti che incitavano alla violenza contro i palestinesi. Questo non è solo un problema tecnico di moderazione: è una questione di chi ha il potere di scrivere la storia mentre si fa.
Come ha osservato la scrittrice palestinese-americana Susan Abulhawa, la rimozione dell’account di al-Jafarawi potrebbe segnalare “una nuova fase negli sforzi per cancellare le prove dei crimini di guerra israeliani da Internet”. Quando le piattaforme digitali collaborano – consapevolmente o meno – con operazioni di “infocidio” (la distruzione sistematica dell’informazione), diventano complici nella cancellazione della memoria storica.
L’urgenza di archivi indipendenti
In questo contesto di fragilità e controllo, diventa cruciale ripensare radicalmente dove e come archiviamo i contenuti che riteniamo importanti. Affidare tutta la nostra documentazione, le nostre testimonianze e la nostra memoria a piattaforme commerciali centralizzate è come costruire la biblioteca di Alessandria su sabbie mobili.
Abbiamo bisogno di spazi di archiviazione su server amici, slegati da dinamiche di potere corporativo o geopolitico. Questo significa:
Server indipendenti e decentralizzati
Piattaforme federate come Mastodon, Peertube, o Pixelfed offrono alternative dove le comunità possono gestire i propri server, stabilire le proprie regole e non dipendere da decisioni arbitrarie di corporazioni lontane. La federazione significa che se un server viene chiuso, i contenuti possono essere migrati altrove.
Archivi comunitari e distribuiti
Progetti come Archive.org, Perma.cc, o iniziative più specifiche di archiviazione digitale permettono di preservare contenuti al di fuori delle piattaforme commerciali. Ma anche questi archivi centralizzati possono essere vulnerabili, come dimostra il caso della rimozione delle pagine archiviate di al-Jafarawi dalla Wayback Machine.
Blockchain e tecnologie distribuite
Tecnologie come IPFS (InterPlanetary File System) o archivi basati su blockchain offrono la possibilità di distribuire contenuti in modo permanente e resistente alla censura, senza un punto centrale di controllo che possa essere compromesso.
Ridondanza e backup personali
La strategia più semplice e spesso trascurata: scaricare e conservare copie locali dei contenuti importanti. Quello che non è sul nostro disco rigido non è veramente nostro.
Scegliere a chi affidare i nostri dati: oggi più che mai
Nel 2025, la scelta di dove pubblicare i nostri contenuti e a chi affidare i nostri dati non è più una questione meramente tecnica o di convenienza. È una scelta politica e etica che determina:
- Chi può cancellare la nostra voce: Affidare tutto a una singola piattaforma significa mettere il potere di cancellarci nelle mani di un’entità che risponde a interessi commerciali, pressioni governative e logiche algoritmiche.
- Chi può monetizzare la nostra testimonianza: Le piattaforme commerciali traggono profitto dai nostri contenuti mentre noi non controlliamo come vengono utilizzati o monetizzati.
- Chi decide cosa è “appropriato”: Le politiche di moderazione riflettono valori e priorità che potrebbero non allinearsi con i nostri. Ciò che è considerato “incitamento all’odio” o “contenuto inappropriato” può variare drasticamente a seconda di chi giudica.
- Chi ha accesso alla nostra documentazione: Piattaforme centralizzate possono essere hackerate, requisite legalmente, o collaborare con governi in modi che compromettono la privacy e la sicurezza delle fonti.
Oggi più che mai, dobbiamo essere consapevoli che ogni volta che carichiamo un’immagine, pubblichiamo un video o condividiamo una testimonianza, stiamo facendo una scelta su chi controllerà quella memoria. E quella scelta ha conseguenze reali per noi stessi, per le comunità che documentiamo e per la storia che stiamo scrivendo collettivamente.
Realtà alternative: creatività contro la censura
Di fronte al monopolio del controllo informativo, sono emerse forme straordinarie di resistenza creativa che sfruttano le falle nei sistemi di censura e trasformano spazi inaspettati in archivi di memoria e verità.
The Uncensored Library: una biblioteca fatta di blocchi
Nel marzo 2020, nel pieno della Giornata Mondiale contro la Cyber Censura, Reporter Senza Frontiere ha inaugurato un progetto straordinario: The Uncensored Library, una biblioteca digitale monumentale costruita interamente all’interno di Minecraft.
Questa biblioteca, realizzata con oltre 12,5 milioni di blocchi in stile neoclassico che ricorda la New York Public Library, contiene oltre 200 libri digitali con articoli censurati in paesi come Russia, Arabia Saudita, Vietnam, Messico, Egitto, Brasile, Bielorussia, Iran ed Eritrea. Ogni ala è dedicata a un giornalista censurato o ucciso: Jamal Khashoggi per l’Arabia Saudita, Yulia Berezovskaia per la Russia, Nguyen Van Dai per il Vietnam, Javier Valdez per il Messico, e il portale Mada Masr per l’Egitto.
Perché Minecraft? La genialità del progetto sta proprio in questo: mentre molti regimi autoritari censurano siti web, blog e social media, Minecraft rimane accessibile. Con oltre 145 milioni di giocatori attivi ogni mese, molti dei quali in paesi con forte censura, il gioco offre un canale sicuro per accedere a informazioni proibite. I testi sono scritti in libri interattivi di Minecraft che non possono essere modificati né cancellati dai giocatori, garantendo l’integrità del contenuto.
Chiunque può accedere alla biblioteca scaricando la mappa dal sito ufficiale o connettendosi al server pubblico. In questo modo, giovani in paesi dove la libertà di stampa è sotto attacco possono leggere articoli su eventi e analisi che i loro governi vogliono nascondere, tutto mentre apparentemente stanno solo “giocando a Minecraft”.
Il progetto ha vinto un Peabody Award nel 2022 per la categoria Interattiva, riconosciuto come “un monumento alla libertà di stampa e una porta sul retro innovativa per l’accesso a contenuti censurati”.
Google Maps e le recensioni di guerra
Durante l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, è emersa un’altra forma ingegnosa di resistenza alla censura. Il Cremlino aveva bloccato Facebook, Twitter e numerosi media indipendenti in Russia, cercando di controllare completamente la narrazione del conflitto. I cittadini russi si trovavano in una bolla informativa dove le notizie ufficiali parlavano di “operazione speciale” piuttosto che di guerra.
È qui che entra in gioco Anonymous e la creatività collettiva: il gruppo di attivisti ha lanciato su Twitter un appello ai suoi 7,7 milioni di follower invitandoli a usare le recensioni di Google Maps e TripAdvisor dei ristoranti russi per diffondere informazioni sulla guerra. L’idea, suggerita inizialmente dall’utente polacco @Konrad03249040, era semplice ma efficace: mentre i siti di notizie erano bloccati, le piattaforme di recensioni restavano accessibili.
Migliaia di persone hanno quindi iniziato a “recensire” ristoranti di Mosca, San Pietroburgo e altre città russe con cinque stelle, ma invece di descrivere il cibo, caricavano foto di bombardamenti, scrivevano testimonianze sui crimini di guerra, condividevano notizie sui movimenti delle truppe e sulle vittime civili. Aprendo la pagina di un ristorante moscovita, si potevano trovare immagini di città ucraine distrutte al posto delle foto di piatti, e descrizioni dettagliate degli attacchi invece di commenti sul servizio.
La campagna ha avuto un successo tale che sia Google che TripAdvisor sono stati costretti a sospendere temporaneamente le recensioni in Russia, ma per giorni queste piattaforme hanno funzionato come canali alternativi di informazione, raggiungendo cittadini russi che altrimenti non avrebbero avuto accesso a notizie non filtrate dal Cremlino.
Questo esempio dimostra come, nell’era digitale, qualsiasi piattaforma può diventare un canale di controinformazione quando le persone decidono collettivamente di riproporre gli spazi digitali per scopi diversi da quelli originari. Una recensione di un ristorante diventa un bollettino di guerra; una valutazione con stelle diventa una testimonianza di atrocità.
Lezioni da questi esempi
Questi progetti di resistenza digitale ci insegnano diverse lezioni cruciali:
1. La creatività batte la censura: I sistemi di controllo, per quanto sofisticati, non possono prevedere tutti gli usi alternativi degli spazi digitali. Un videogioco o una piattaforma di recensioni possono diventare strumenti di libertà informativa.
2. La decentralizzazione è resilienza: The Uncensored Library non può essere facilmente chiusa perché chiunque può scaricare la mappa e ospitarla localmente. Non esiste un singolo punto di fallimento.
3. Nascondersi in bella vista: A volte il modo migliore per eludere la censura è utilizzare piattaforme che i censori considerano irrilevanti o innocue. Chi censurerà mai Minecraft o le recensioni di ristoranti?
4. La forza delle comunità: Questi progetti funzionano perché mobilitano comunità globali. Migliaia di persone che agiscono collettivamente possono sopraffare i sistemi di controllo.
5. L’importanza della documentazione distribuita: Quando le informazioni esistono in molti luoghi e formati diversi, diventa quasi impossibile cancellarle completamente.
Verso una memoria digitale resiliente
La morte di Saleh al-Jafarawi e la cancellazione del suo account ci pongono di fronte a un bivio. Possiamo continuare ad affidare la nostra memoria collettiva a piattaforme centralizzate che rispondono a logiche di profitto e pressioni politiche, oppure possiamo costruire un ecosistema informativo più resiliente, distribuito e democratico.
Questo richiede un impegno attivo a diversi livelli:
A livello individuale
- Fare backup regolari dei contenuti importanti
- Diversificare le piattaforme dove pubblichiamo
- Supportare progetti di archiviazione indipendenti
- Educarci sulle alternative alle piattaforme mainstream
- Condividere conoscenze su strumenti di archiviazione sicura
A livello comunitario
- Creare archivi collettivi di testimonianze e documentazione
- Sostenere giornalisti e attivisti con infrastrutture sicure
- Costruire reti di server federate e indipendenti
- Documentare eventi in tempo reale con ridondanza
- Formare comunità su pratiche di sicurezza digitale
A livello istituzionale
- Richiedere maggiore trasparenza alle piattaforme sulle decisioni di moderazione
- Sostenere legislazioni che proteggano la libertà di espressione online
- Finanziare progetti di archiviazione pubblica indipendente
- Creare standard aperti per la portabilità dei dati
- Riconoscere l’importanza dell’accesso all’informazione come diritto umano
Conclusione: la memoria come atto di resistenza
Nel mondo di oggi, ricordare è un atto politico. Archiviare è resistenza. Scegliere consapevolmente dove e come conservare le nostre testimonianze è un gesto che va oltre la semplice gestione dei dati: è una dichiarazione su quale tipo di futuro vogliamo costruire.
Saleh al-Jafarawi non può più raccontare la sua storia, ma il fatto stesso che stiamo discutendo della cancellazione del suo account, che ricordiamo il suo nome e il suo lavoro, dimostra che la memoria non può essere completamente cancellata quando esiste in forme distribuite e resilienti. La sua testimonianza sopravvive nei frammenti salvati da altri, negli screenshot condivisi, nelle discussioni che il suo caso ha generato.
Ma non dovremmo dipendere dalla fortuna o dalla diligenza di singoli individui per preservare testimonianze cruciali. Dobbiamo costruire sistemi che rendano la cancellazione della memoria difficile se non impossibile. Dobbiamo creare infrastrutture di ricordo che non possano essere spente con un click.
La posta in gioco non potrebbe essere più alta: si tratta di decidere chi avrà il potere di scrivere la storia del nostro tempo, chi potrà essere ricordato e chi sarà dimenticato, quali verità sopravviveranno e quali verranno cancellate. In un’epoca in cui testimoni digitali documentano genocidi, crimini di guerra e violazioni dei diritti umani in tempo reale, garantire la sopravvivenza di queste testimonianze è letteralmente una questione di giustizia.
Come ci ricorda il caso di al-Jafarawi, e come dimostrano progetti come The Uncensored Library o l’uso creativo delle recensioni di ristoranti come canali di informazione, la memoria digitale è fragile ma può essere resa resiliente attraverso la creatività, la collaborazione e la consapevolezza critica di dove scegliamo di affidare le nostre voci.
Oggi più che mai, in un mondo dove la cancellazione è un click e la censura un algoritmo, dobbiamo scegliere con cura i custodi della nostra memoria collettiva. E forse, ancora meglio, dobbiamo imparare a essere noi stessi i custodi, costruendo insieme archivi distribuiti, resilienti e indistruttibili di verità che nessun potere potrà cancellare completamente.
La memoria è resistenza. E nell’era digitale, dobbiamo renderla incancellabile.
In memoria di Saleh al-Jafarawi (1997-2025) e di tutti i giornalisti che hanno perso la vita documentando la verità, e nella speranza che le loro testimonianze non vengano mai dimenticate.