
DOMIN: “The product of an engineer is technically without a soul.”
R.U.R. – Rossum’s Universal Robots (1920)
Quando il teatro inventò il robot
Nel gennaio 1921, al Teatro Nazionale di Praga, andava in scena per la prima volta R.U.R. – Rossum’s Universal Robots, dramma fantascientifico in tre atti scritto nel 1920 dallo scrittore e giornalista ceco Karel Čapek. Il testo, destinato a diventare uno dei più influenti del XX secolo, è oggi ricordato soprattutto per aver introdotto – e definito – il termine “robot”, derivato dalla parola ceca robota, che significa “lavoro forzato”, “servitù”.
L’industria dell’uomo artificiale
L’azione si svolge in un futuro non precisato in cui la compagnia Rossum Universal Robots produce esseri artificiali biologici (simili agli androidi moderni), creati in laboratorio a partire da sostanze organiche. Questi “robot” non sono macchine metalliche, ma organismi fabbricati in serie, privi di emozioni e destinati esclusivamente al lavoro. Con il tempo, però, alcuni sviluppano coscienza e si ribellano agli umani, conducendo a una catastrofe globale che culmina con l’estinzione del genere umano.
L’ultima scena si chiude con un possibile “nuovo inizio”: due robot, Helena e Primus, mostrano emozioni e si profilano come gli eredi dell’umanità. Il testo alterna toni apocalittici a riflessioni filosofiche sul lavoro, la tecnica, l’identità, la creazione e il limite della scienza.
Più che fantascienza: un’allegoria del presente
Scritto in un’Europa segnata dalla Prima guerra mondiale e dalla rivoluzione industriale, R.U.R. riflette le paure del tempo: disumanizzazione, alienazione del lavoro, tecnocrazia. Čapek non vedeva i robot solo come una minaccia, ma come il prodotto inevitabile di una civiltà che considera l’efficienza e il profitto più importanti dell’etica e della vita.
Come lo stesso autore dichiarò, l’idea del “robot” nacque da una conversazione con il fratello Josef Čapek, pittore e scrittore, a cui è attribuita l’invenzione del termine. A differenza del Prometeo golemico di Mary Shelley o dell’automa meccanico, il robot di Čapek è figlio della catena di montaggio: umanoide, prodotto e sacrificabile.
Un’eredità semantica e culturale
Dopo la prima a Praga, l’opera ebbe una rapida diffusione internazionale: venne rappresentata a Londra nel 1923 e a New York nello stesso anno, dove riscosse un notevole successo. L’impatto culturale fu tale da influenzare direttamente la nascita della robotica come campo d’indagine, arrivando fino a Isaac Asimov, che proprio per contrastare la distopia di R.U.R. introdusse le Tre Leggi della Robotica.
Il termine “robot”, coniato da un’opera teatrale distopica, è oggi centrale nel linguaggio della tecnologia, dall’ingegneria industriale all’intelligenza artificiale, a testimonianza della lungimiranza di Čapek nel prevedere – e criticare – l’automazione del vivente.
Karel Čapek scrisse nel 1933: «La parola robot fu inventata da mio fratello Josef.»
(Fonte: Lidové noviny, quotidiano ceco)